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Clima. Gi scienziati: a Lima un passo avanti, ma non basta

where Lecce when Lun, 15/12/2014 who redazione

Su "Nature Climate Change" uno studio a guida italiana sui negoziati internazionali, dopo il meeting appena concluso in Perù e in vista dell'appuntamento cruciale della Cop parigina nel 2015

Sulla strada tra Lima e Parigi: gli impegni presi da Cina, Ue e Usa per ridurre le emissioni sono un importante passo avanti per le politiche sui cambiamenti climatici ma, per stabilizzare il clima al di sotto di una soglia che gli scienziati definiscono critica, è necessario uno sforzo maggiore. Inoltre, saranno determinanti trasferimenti di fondi tra paesi poveri e ricchi per distribuire i costi in maniera equa. Sono alcuni dei contenuti di uno studio pubblicato su "Nature Climate Change" condotto da un gruppo di scienziati a guida italiana che ha appena concluso una delle più ampie valutazioni sulle future emissioni di gas serra per ciascuna delle maggiori economie mondiali, prendendo in considerazione scenari diversi (per esempio, dove ci portano gli attuali accordi, che cosa accadrebbe se non si attuasse nessuna nuova azione politica sull'argomento e che cosa succederebbe invece se decidessimo di intervenire per raggiungere concretamente l'obiettivo di non aumentare la futura temperatura del pianeta oltre i 2 °C).
 
La ricerca si concentra su diversi aspetti chiave dei negoziati internazionali, dopo il meeting appena concluso in Perù e in vista dell'appuntamento cruciale della COP parigina nel 2015. "Gli impegni presi fino ad oggi portano ad anticipare in molti paesi il momento in cui le emissioni di gas serra inizieranno a diminuire (quello che gli esperti definiscono il picco delle emissioni). Questo vuol dire riuscire a limitare l'aumento della temperatura di 1-1,5 °C rispetto a scenari che non prevedono questi impegni, ma sono iniziative insufficienti a stare dentro il limite dei 2 °C.
 

Secondo gli accordi attuali, le emissioni cumulate della Cina dovrebbero dimezzare; ciononostante, il totale delle emissioni delle economie asiatiche esaurirebbe da solo il budget ammissibile per i 2 °C, che corrisponde a circa 1000 Gt di CO2 (ndr: mille miliardi di tonnellate)", spiega Massimo Tavoni (Cmcc, Fondazione Eni Enrico Mattei e Politecnico di Milano) che coordina il progetto pubblicato su Nature Climate Change.mossiotavoni.png "Ridurre le emissioni con costi limitati - aggiunge Tavoni - richiede importanti contributi dai paesi in via di sviluppo, e questo potrebbe creare iniquità nella distribuzione degli oneri tra Paesi ricchi e poveri. Ma esistono misure che consentirebbero di compensare questa situazione verso soluzioni più eque".

La ricerca pubblicata stima che un supporto finanziario dell'ordine di 100-150 miliardi di dollari Usa ogni anno entro il 2030 potrebbe coprire gli investimenti in tecnologie a basso contenuto di carbonio necessari ai paesi in via di sviluppo per l'obiettivo dei 2°C. Inoltre, i proventi fiscali provenienti da strumenti come una carbon tax potrebbero contribuire a coprire gli investimenti in energia pulita che oggi ci mancano”.
Il team che ha realizzato lo studio ha utilizzato sei diversi modelli, paragonandone i risultati tra loro. "Il Quinto rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici dell'Ipcc ha chiaramente evidenziato il livello di impegno globale necessario a stabilizzare il clima - spiega ancora Tavoni - ma mancava completamente una valutazione quantitativa delle implicazioni su scala regionale delle politiche climatiche post-2020: è quello che emerge dal nostro studio".

La ricerca è direttamente collegata agli attuali negoziati sul cima e mette in luce le sfide che ci attendono sulla strada che unisce Lima e Parigi. "Nei nostri scenari che si riferiscono all'obiettivo dei 2°C, le emissioni iniziano a diminuire intorno al 2020. Si tratta di una situazione in contrasto con quella disegnata dagli altri scenari che utilizzano proiezioni basate sugli impegni e sugli accordi attualmente chiusi tra le maggiori economie mondiali. Questi ultimi scenari, infatti, portano a un risultato per cui le emissioni globali inizierebbero la loro discesa non prima del 2040, se non addirittura dopo" dice Elmar Kriegler del Potsdam Institute for Climate Impact Research e co-leader della ricerca. "Larga parte della riduzione delle emissioni, se effettuata con costi contenuti, dovrebbe realizzarsi in paesi ad economia emergente, come Cina o India. Le implicazioni sono chiare: se un futuro accordo sul clima deve puntare su questi volumi, bisognerà includere dei meccanismi che compensino i paesi in via di sviluppo per una parte dello sforzo compiuto nella riduzione delle emissioni".
 
Per leggere l’articolo di Massimo Tavoni, Elmar Kriegler, Keywan Riahi, Detlef P. van Vuuren, Tino Aboumahboub, Alex Bowen, Katherine Calvin, Emanuele Campiglio, Tom Kober, Jessica Jewell, Gunnar Luderer,Giacomo Marangoni, David McCollum, Mariësse van Sluisveld, Anne Zimmer and Bob van der Zwaan intitolato “Post-2020 climate agreements in the major economies assessed in the light of global models” clicca qui.

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Massimo Tavoni, Cmcc, Fondazione Eni Enrico Mattei e Politecnico di Milano