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Sì triv. In Tunisia scontri per dare ai poveri i soldi del petrolio

where Tunisi (Tunisia) when Lun, 29/05/2017 who roberto

Proteste popolari a Tataouine e in altre città per l’impiego dei proventi dei giacimenti come  forma di reddito di cittadinanza, contro la disoccupazione e l’emigrazione

È pesante, in Tunisia, il bilancio degli protestetunisia.jpgscontri tra manifestanti e forze dell'ordine a Tataouine: un morto tra i contestatori, investito per errore da un'auto della polizia, molti feriti anche tra gli agenti di polizia, distrutti numerosi veicoli della gendarmeria e delle forze armate, devastati uffici pubblici e caserme.
I ministeri dell'Interno e della Difesa hanno riferito anche che i manifestanti avrebbero cosparso di benzina un poliziotto, cercando poi di dargli fuoco. Per fortuna il terribile atto non è stato completato.
Le proteste popolari in corso da settimane all’insegna di “winou el petrol” (dov’è il petrolio) vogliono che il petrolio dei giacimenti del sud della Tunisia venga usato per creare una forma di reddito di cittadinanza, ridistribuendone la ricchezza fra i disoccupati. Da settimane centinaia di giovani organizzano sit-in per chiedere misure concrete per l'occupazione e maggiori fondi per lo sviluppo regionale.
A causa del perdurare delle tensioni nel sud del Paese, il presidente della Repubblica, Beji Caid Essebsi, ha disposto il 10 maggio che la difesa delle installazioni petrolifere meridionali sia affidata all'esercito per salvaguardare la produzione. Essebsi ha avvertito che il diritto di manifestare dei cittadini continuerà a essere garantito, ma che lo Stato non potrà più accettare rivendicazioni impossibili da realizzare e non potrà più consentire lo stop della produzione petrolifera. E lo scontro ora si sposta anche sul piano politico, con molti partiti che tentano di smorzare i toni delle proteste ma anche di capitalizzare voti in vista delle elezioni municipali in agenda a fine dicembre.
Il governo di unità nazionale di Youssef Chahed ha offerto ai giovani di Tataouine mille assunzioni nelle società petrolifere della zona a partire da giugno e altre 500 prima della fine dell'anno, altri mille posti di lavoro presso le società legate alla tutela dell'ambiente, altri mille supplementari da gennaio 2018 e un fondo di 50 milioni di dinari all'anno. Il governo ha anche promesso la rinuncia a ogni azione giudiziaria nei confronti dei manifestanti.
Ai manifestanti l’offerta non basta e chiedono l’assunzione di un lavoratore per ogni famiglia presso le società petrolifere della regione, reinvestimento del 20% degli utili delle stesse società in impianti nella zona (al confine con il deserto) a favore di progetti regionali, e il trasferimento della loro sede dalla capitale Tunisi a Tataouine.
Le rivendicazioni dello sciopero regionale erano: 2000 nuove assunzioni nella “società ambientale”, 1000 nuove assunzioni nelle compagnie petrolifere e soprattutto l’utilizzo del 5% dei proventi dell’estrazione petrolifera per progetti di sviluppo locale. Le proteste al momento continuano, in particolare con l’invito alla popolazione a ritirare i propri risparmi dalle banche.
La società che gestisce l'oleodotto del Sahara (Trapsa) ha deciso di fermare il flusso principale dell'oleodotto, che collega il campo di El Borma alla stazione di pompaggio di El Kamour dopo i disordini che hanno interessato lo zona dell'oleodotto che appartiene alla Société Italo-Tunisienne d'Exploitation Pétrolière (Sitep, società italo-tunisina per lo sviluppo petrolifero, detenuta pariteticamente dallo stato tunisino e dall'Eni).
Questa misura avrà un impatto diretto sull'economia tunisina. Un gruppo di manifestanti ha invaso la sede del governatorato di Tataouine e agitazioni vengono segnalate anche a Douz, Kalaa e Fouar.
Le mobilitazioni sono cominciate nella seconda metà di marzo. Una delle leve principali del repertorio di contestazione tunisino è il blocco stradale. Il movimento “winou el petrol” è organizzato tramite meccanismi in gran parte informali, ma è stato sostenuto dal sindacato Ugtt e da un buon numero di partiti politici, tra cui gli islamisti di Ennahda che fanno parte dell’attuale governo.

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