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Auto e no. Ancora sulle auto elettriche dal 2035. Millevoci pro e contro sulla decisione di Bruxelles

where Bruxelles (Belgio) when Lun, 20/02/2023 who roberto

Prima di entrare in vigore serve il via libera finale al provvedimento del Consiglio Ue. Associazioni, imprese e sindacati si esprimono sulla scelta

Ricordiamo l’antefatto. Stopelettriche.jpg ai veicoli benzina e diesel dal 2035, come ha detto in via definitiva il Parlamento europeo. È una delle misure cardine del Green deal europeo. Il provvedimento, a cui manca ancora l'ok finale del Consiglio Ue prima di entrare in vigore, ha visto luce verde all'Eurocamera dopo un anno e mezzo dal suo lancio da parte della Commissione, con il voto a favore i socialisti di S&D, i liberali di Renew, Verdi e Sinistra, mentre hanno votato contro il gruppo Ecr, di cui fa parte Fratelli d'Italia, Id, con i parlamentari della Lega, e gran parte del Ppe, con gli eurodeputati di Forza Italia.

 
I dettagli delle euro-regole
Le nuove norme introducono l'obbligo per nuove autovetture e nuovi veicoli commerciali leggeri di non produrre alcuna emissione di CO2 dal 2035. L'obiettivo è ridurre del 100% le emissioni di questi tipi di veicoli rispetto al 2021. Gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni per il 2030 sono stati fissati al 55% per le autovetture e al 50% per i furgoni. Entro il 2025, la Commissione presenterà una metodologia per valutare e comunicare i dati sulle emissioni di CO2 durante tutto il ciclo di vita delle auto e dei furgoni venduti sul mercato dell'Ue, mentre entro dicembre 2026, la Commissione monitorerà il divario tra i valori limite di emissione e i dati reali sul consumo di carburante ed energia. È infine prevista un'esenzione totale per chi produce meno di 1.000 nuovi veicoli l'anno, che possono avvalersi di una deroga fino alla fine del 2035. Un'eccezione pensata per le case automobilistiche che producono auto di lusso, come Ferrari e Lamborghini.
 
I soliti politici
Mentre i liberali e i socialisti salutano il risultato come un grande traguardo nelle ambizioni europee di lotta al cambiamento climatico, il centrodestra italiano accusa le istituzioni europee di portare avanti un ambientalismo ideologico ai danni delle imprese. "Decisione folle e sconcertante, contro le industrie e i lavoratori italiani ed europei, a tutto vantaggio delle imprese e degli interessi cinesi", commenta il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. E attacca "Pd, M5S, Renzi e Calenda che votano contro l'Italia".
Il governo italiano ribadisce il suo no, giudicando la scadenza troppo ravvicinata e dannosa per l'automotive nazionale.
Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ammette che "l'Italia è in ritardo" sulla transizione nel comparto auto, e che dobbiamo "accelerare sugli investimenti". Ma a suo parere, i "tempi e modi che l'Europa ci impone non coincidono con la realtà europea e soprattutto italiana". C'è il rischio di "passare alla dipendenza tecnologica dalla Cina". Urso parla di "una visione ideologica e faziosa che sembra emergere dalle istituzioni europee" e chiede una tempistica più graduale, consentendo anche altre fonti, come biocombustibili, biometano e idrogeno. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, si dice "un grande sostenitore dell'auto elettrica", ma aggiunge che "gli obiettivi ambiziosi vanno raggiunti sul serio, non solo sulla carta". Per questo, "l'Italia avanzerà una sua controproposta: limitare la riduzione al 90%, dando la possibilità alle industrie di adeguarsi".
Gli esponenti di Fdi, Lega e FI sono tutti contro il bando al 2035, anche se tutti riconoscono la necessità di azzerare le emissioni dei trasporti. Dal Pd, sia Stefano Bonaccini sia Elly Schlein ritengono invece che la scadenza sia sostenibile dall'automotive italiano.
Plaude la Commissione europea che, proprio nel giorno in cui porta a casa uno dei suoi cavalli di battaglia del Green Deal, rilancia proponendo una nuova stretta sui tagli alle emissioni di CO2. Se il regolamento dovesse entrare in vigore, dopo il suo percorso legislativo, dal 2030, tutti gli autobus urbani dovranno essere a emissioni zero. Tutti i veicoli pesanti, inoltre, quindi camion e tir, dovranno ridurre le emissioni del 45% dal 2030, del 65% dal 2035 e del 90% dal 2040.
 
L’industria contro
L'associazione dei costruttori europei di automobili (Acea) si dice pronta a consegnare nuovi veicoli per i nuovi obiettivi, ma chiede "un'azione altrettanto ambiziosa da parte dei responsabili politici per garantire che gli altri attori della catena del valore dei trasporti e della logistica ottengano risultati allo stesso tempo". Una riduzione di CO2 del 45% entro il 2030 significa che più di 400.000 camion a emissioni zero dovrebbero essere sulla strada e almeno 100.000 nuovi camion a emissioni zero registrati ogni anno, scrive l'Acea. Ciò richiederebbe l'utilizzo di oltre 50.000 caricabatterie accessibili al pubblico adatti ai camion in soli sette anni, di cui circa 35.000 dovrebbero essere caricabatterie ad alte prestazioni e circa 700 stazioni di rifornimento di idrogeno.
Per Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria, fra dieci anni si rischia un "effetto Cuba: la gente non potrà comprare le auto elettriche perché troppo costose, e continuerà a girare con auto sempre più vecchie". Per le pmi di Confapi, con lo stop all'endotermico sono a rischio 195.000 posti.
“Una scelta a dir poco demenziale”. Così il presidente di Conftrasporto-Confcommercio Paolo Uggè bolla lo stop alle immatricolazioni dei mezzi diesel e benzina dal 2035 deciso in sede europea. “Un provvedimento che penalizza l’economia europea lasciando intere e vaste aree del pianeta libere di continuare a fare come gli pare - sbotta Uggè – Conftrasporto è ampiamente favorevole a interventi per la salvaguardia ambientale, purché non nascondano operazioni economico-finanziarie di altro tipo; inutili, costose e penalizzanti per l’intera economia dei trasporti e del sistema produttivo. Secondo i dati europei, le emissioni di Co2 prodotte dal nostro Continente sono pari a circa il 6% di quelle globali, e i mezzi pesanti contribuirebbero per il 25% (di quel 6%). Ma l’importante è dargli addosso, ai Tir. Sempre e comunque”.
Lo stop alle auto diesel e benzina previsto per il 2035 porterà ad un aumento esponenziale dei costi di riparazione delle autovetture e a maggiori esborsi sia in capo alle carrozzerie, sia per gli automobilisti, afferma Federcarrozzieri: “Le auto elettriche, infatti, appena entrano in una carrozzeria devono essere messe in sicurezza, e per fare questo occorre vi sia almeno un addetto abilitato con patentino Pes-Pav – spiega il presidente Davide Galli – Procedura che inevitabilmente comporta spese maggiori per gli operatori e quindi per gli automobilisti. Poi c'è l'elettronica particolare che caratterizza tali vetture e che determina attività più lunghe (e costose) per smontaggio, rimontaggio, sostituzione, programmazione, ricalibrazione”.
 
L’industria pro
Per le aziende dell'elettrico di Motus-E, l'unico modo per salvare l'occupazione è seguire il trend dell'automotive mondiale. "Tutto il mondo va verso l'elettrico, andare in quella direzione è l'unico modo per salvare l'occupazione", commenta il segretario Francesco Naso. Motus-E mette in luce come nel 2022 in tutti i paesi europei le vendite di auto elettriche siano salite, e che solo in Italia siano scese (-27,1%). In Germania sono il 18% delle nuove immatricolazioni, nel Regno Unito il 40,1%, in Francia il 25,3%, in Italia il 3,7%. Le cause di tutto questo secondo l'associazione sono "la scarsa propensione degli italiani alle nuove tecnologie, un clima di incertezza fra pandemia, guerra e inflazione, una narrativa negativa diffusa sull'elettrico, un sistema di incentivi sbagliato".
 
Dettaglio: Motus-E contro i carburanti non fossili
Aggiunge Naso di Motus-E: "I biocarburanti e i carburanti sintetici (e-fuel) vengono proposti da molti in Italia come uno strumento per decarbonizzare il settore dell'automotive, senza distruggere la filiera dei motori endotermici. Ma la verità è che non c'è una produzione adeguata di biocarburanti ed e-fuel neppure per il settore che ne avrebbe davvero bisogno, cioè il trasporto aereo, figuriamoci per le automobili. E anche aumentando la produzione, è difficile che si arrivi ad una quantità sufficiente".
 
Gli ecologisti
Gli ambientalisti giudicano positivamente la decisione, ma l’organizzazione ecologista Greenpeace dice che il bando doveva essere anticipato al 2028. E d’accordo con Greenpeace è anche Andrea Boraschi, dirigente dell’organizzazione Transport & Environment, "l'Italia è indietro sull'auto elettrica per varie ragioni: un misto di fiscalità e incentivi sbagliati, politiche che difendono tecnologie superate, una narrativa negativa senza fondamento. E poi c'è l'eredità dell'indirizzo sbagliato di Sergio Marchionne contro l'elettrico, confermato da Tavares".
 
Focus sul Governo: Pichetto e Gava
"La questione Fit for 55 riguarda anche le case automobilistiche con una scelta rispetto all'area dell'Ue. La riserva che si fa è sulla tempistica perché non è compatibile economicamente e socialmente: al momento l'auto elettrica è un'auto per i più ricchi". Così il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto. "Nessuno è contrario: auspico un sistema totalmente decarbonizzato e che vede come percorso principale l'elettrico ma abbiamo anche tecnologie che possono essere compatibili con la decarbonizzazione che non hanno come percorso principale l'elettrico", dice parlando, tra l'altro, dei biocarburanti ("una delle scelte del governo è stata quella del biometano").
La viceministra all’Ambiente Vannia Gava: “Tempistiche assolutamente non sostenibili, che non consentiranno alla nostra industria di riconvertirsi nei termini previsti, con conseguenti duri contraccolpi su una filiera importante per il nostro Paese. Non si può sostituire la vendita dell’85% del motore termico in poco più di dieci anni”. “Puntare su biocarburante, idrogeno ed elettrico richiede un passaggio graduale, non si fa dalla sera alla mattina, mentre per il “solo elettrico” è troppo presto.
 
L’allarme del sindacato per la Bosch di Bari
Ciò che sta accadendo, sottolineano le sigle sindacali, "conferma l’urgenza di una più vasta diversificazione industriale da parte di Bosch, tanto più che l’Unione europea ha confermato la messa al bando del motore endotermico e che fra due anni a normativa vigente non ci saranno più ammortizzatori sociali utilizzabili. L’utilizzo degli ammortizzatori sociali è difatti estremamente alto e promette di aumentare". "Alla luce di ciò chiediamo a Bosch di presentare piani di riconversione industriale e di fare domanda di accordo di programma, alla Regione Puglia di apprestare corsi di formazione per aiutare i dipendenti che volessero cercare occasioni lavorative esterne e al Governo di aiutarci a fronteggiare la transizione all’elettrico, anche attraverso nuovi ammortizzatori sociali" aggiungono. Fim, Fiom, Uilm, Uglm evidenziano che di fronte la messa al bando del motore endotermico la politica non è riuscita ancora a programmare una seria politica industriale a partire dal settore automotive che, da sempre, rappresenta il volano dello sviluppo sulla mobilità e nella economia reale. Senza un progetto ed una visione condivisa con le organizzazioni sindacali, le ricadute industriali, sociali ed occupazionali saranno drammatiche e saranno ben visibili, oggi, ancor prima del 2035". "Ad essere colpita è l’intera area di Bari, che quindi pensiamo debba diventare area di crisi complessa. Peraltro Bosch si è detta interessata alla Zes. Ma resta Bosch l’unico soggetto che possa individuare missioni industriali alternative a quelle attuali legate al motore endotermico" concludono.

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