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Così le microplastiche passando dalle piante ai gamberetti possono contaminare il nostro cibo

where Milano when Mar, 02/05/2023 who roberto

Uno studio Enea-Cnr descrive il percorso di questo inquinante dall’acqua dolce alle radici delle piante acquatiche fino ai crostacei che se ne cibano, con danni per l’intero ecosistema

Uno studio Enea-Cnr pubblicato08microplastiche.jpg sulla rivista internazionale Water ha descritto una parte del percorso delle microplastiche “dall’acqua al piatto”, dimostrando come questo contaminante si trasferisca dall’acqua dolce alle radici delle piante acquatiche e, quindi, ai crostacei che se ne cibano.
 
Come si è svolto l’esperimento
Il team Enea, insieme ai ricercatori dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Cnr coordinati da Massimo Zacchini, ha valutato in laboratorio gli effetti di microparticelle di polietilene, tra le più comuni materie plastiche disperse nell’ambiente, su organismi d’acqua dolce, vegetali e animali.
In particolare, le specie utilizzate sono state la Spirodela polyrhiza, la cosiddetta lenticchia d’acqua, una piccola pianta acquatica galleggiante, e l’Echinogammarus veneris, un crostaceo d’acqua dolce simile a un gamberetto, che è poi l’alimento base di pesci come le trote. Le piantine sono state immerse in acqua contaminata da microplastiche di circa 50 micrometri - più piccole del diametro di un capello – e dopo 24 ore trasferite nella vasca dei gamberetti.
 
Il risultato della prova
I risultati hanno dimostrato che le piante, durante l’esposizione, oltre a una lieve riduzione del contenuto di clorofilla, hanno accumulato un elevato quantitativo di microplastiche sulle radici di cui i crostacei si cibano, ingerendone in media circa 8 particelle per esemplare.
Inoltre, è stato possibile anche dimostrare come le microplastiche, una volta ingerite dai crostacei, vengano sminuzzate e “restituite” all’ambiente sotto forma di escrementi, che possono rientrare nella catena alimentare, cosiddetta “del detrito”.
 
I danni agli animaletti
Infine, sono stati valutati gli effetti diretti delle microplastiche sul Dna dei crostacei, per comprendere se queste particelle potessero indurre anche genotossicità, ovvero danni a livello del materiale genetico. Dopo solo 24 ore, è stato possibile osservare come gli individui “trattati” con le microplastiche presentassero un livello di frammentazione del Dna significativamente superiore rispetto a quelli non trattati, dimostrando come queste particelle siano effettivamente in grado di indurre un danno al Dna nelle cellule degli organismi studiati.
 
Il commento degli scienziati
“Questo studio mostra chiaramente, all’interno di un sistema controllato di laboratorio, i meccanismi attraverso i quali le microplastiche entrano e si trasferiscono all’interno della catena alimentare”, sottolinea Valentina Iannilli, ricercatrice Enea del Laboratorio Biodiversità e servizi ecosistemici. “Le piantine, infatti, hanno avuto il ruolo di raccogliere e trasferire queste particelle ai crostacei, fonte di cibo per i pesci che a loro volta accumulano microplastiche anche nei muscoli, che sono poi le parti che noi mangiamo”.
“Questo significa che le microplastiche non sono, come spesso è riportato, materiale inerte che non interagisce con le funzioni degli organismi”.
Per leggere lo studio: https://www.mdpi.com/2073-4441/15/5/921

immagini
microplastiche