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Fra greenwashing e green investment. Analisi: non basta comprare crediti per essere ecologici

where Berlino (Germania) when Lun, 20/02/2023 who roberto

Rapporto del New Climate Institute di Berlino. Sono fuori traiettoria per più del 50% rispetto all’obiettivo richiesto entro il 2030. Ottimi gli impegni di Stellantis e Maersk

Tutti pronti a finanziare progetti ccrm23cover.jpg“ecologici” per poter acquisire certificazioni ESG e non essere rigettati dal mercato, anche se le strategie sul clima di 24 tra le più grandi aziende, “leader nella lotta al cambiamento climatico”, si rivelano del tutto insufficienti e sono contraddistinte dall’ambiguità. Lo sostiene lo studio “Corporate Climate Responsibility Monitor” pubblicato ora dal New Climate Institute di Berlino. L’impegno delle imprese per il net zero sul lungo periodo distoglie il focus dal fatto che sono fuori traiettoria per più del 50% rispetto all’obiettivo richiesto entro il 2030 per mantenere la temperatura al di sotto del limite di 1,5 °C.

 
Buoni e cattivi
La seconda edizione del report Corporate Climate Responsibility Monitor valuta l’integrità delle strategie climatiche di 24 grandi aziende internazionali che rivendicano il loro impegno come leader nel campo della lotta al cambiamento climatico. Come già constatato nel 2022, Maersk si riconferma l’unica azienda alla cui integrità della strategia climatica abbiamo assegnato il giudizio “ragionevole” (reasonable). Sono otto le aziende di cui è stata valutata l’integrità della strategia climatica come “moderata” (moderate): Apple, ArcelorMittal, Google, H&M Group, Holcim, Microsoft, Stellantis e Thyssenkrupp.
Le strategie delle altre quindici aziende prese in esame hanno invece ottenuto il giudizio “basso” (low) o “molto basso” (very low) per quanto riguarda il livello di integrità.
 
Iniziative efficaci
Le multinazionali sfruttano gli impegni a lungo termine per distogliere l’attenzione dall’inadeguatezza delle azioni intraprese finora e dei loro piani a breve termine: mediamente, sono più del 50% fuori traiettoria rispetto all’obiettivo richiesto entro il 2030 per mantenere la temperatura al di sotto del limite di 1,5 °C.
Ci sono alcuni segnali di progresso. Maersk e Stellantis, per esempio, stanno assumendo impegni credibili per una reale riduzione delle emissioni. La decisione di Stellantis di limitare l'uso delle compensazioni a meno del 10% delle sue emissioni del 2021 stabilisce un'importante base di riferimento per il settore, oltre all'ambizioso obiettivo di ridurre le emissioni del 50% lungo l'intera catena del valore nel 2030.
 
Le cattive pratiche
Tuttavia, le cattive pratiche di compensazione emergono con chiarezza in tutto il set di dati. Almeno tre quarti delle aziende analizzate fanno largo uso di compensazioni legate alla silvicoltura e all'uso del suolo. Se tutte le aziende adottassero lo stesso approccio di queste grandi “aziende leader nella sostenibilità” ci vorrebbero da due a quattro pianeti Terra in più per soddisfare la domanda di queste rimozioni di carbonio. Alcune aziende (come Apple, DHL, Microsoft e Google) si dichiarano già oggi “carbon neutral”, ma queste dichiarazioni si riferiscono, in media, solo al 3% delle effettive emissioni.
“Facendo affermazioni così ambigue sulla neutralità carbonica, queste aziende, oltre a trarre in inganno i consumatori e gli investitori, si espongono anche a crescenti rischi legali e reputazionali”, ha dichiarato Lindsay Otis, esperta di policy sui mercati del carbonio presso Carbon Market Watch.
A conferma di una generale mancanza di miglioramenti rispetto alla prima edizione del report Corporate Climate Responsibility Monitor, pubblicata un anno fa, l’organizzazione berlinese ha riscontrato che “l’impegno delle imprese per il net zero sul lungo periodo continua a essere contraddistinto dall’ambiguità e ha lo scopo di distogliere il focus dall’urgente necessità di ridurre le emissioni nell’arco del decennio in corso”.
Nel complesso, le aziende oggetto della valutazione approfondita si impegnano a ridurre solo il 15% delle emissioni nell’intera catena del valore entro il 2030 o, nell’interpretazione più ottimistica delle loro strategie, il 21%. L’obiettivo che dobbiamo ottenere a livello globale per limitare l’aumento della temperatura a circa 1,5 °C è una riduzione del 43% delle emissioni di gas serra. Rispetto a tale traguardo, le aziende non sono ancora a metà strada. Uno degli autori del report, Thomas Day del New Climate Institute, ha commentato: “In questo decennio critico per l’azione per il clima, gli attuali piani delle aziende non riflettono l’urgenza di riduzione delle emissioni. Le autorità di regolamentazione, le iniziative volontarie e le aziende devono mettere al centro delle loro strategie con urgenza l’integrità dei piani di riduzione delle emissioni fino al 2030. Concentrarsi sull’obiettivo del net zero sul lungo periodo non deve essere un motivo per distogliere l’attenzione dagli obiettivi più immediati”.
 
Impegni buoni oppure no
Solo una piccola minoranza di aziende, tra cui Maersk e Stellantis, si sta assumendo impegni potenzialmente credibili per quanto riguarda una decarbonizzazione significativa entro il 2030 e oltre tale scadenza. Tuttavia, queste aziende vengono messe sullo stesso piano di altre, tra cui American Airlines, Carrefour, Deutsche Post DHL, Fast Retailing (Uniqlo), Inditex (Zara), Nestlé, PepsiCo, Volkswagen e Walmart, che fanno dichiarazioni analoghe e menzionano le proprie certificazioni SBTi a difesa di strategie climatiche che in realtà mostrano un impegno molto limitato nella riduzione delle emissioni. Molti dei problemi di fondo che abbiamo individuato un anno fa rimangono irrisolti: per quanto riguarda Carrefour, sembra che oltre l’80% dei suoi negozi siano stati esclusi dai suoi obiettivi; Nestlé invece ha fissato un obiettivo del 50% di riduzione delle emissioni entro il 2030, che in realtà si traduce in un impegno a ridurre le emissioni dell’intera catena del valore solo del 16-21%, in quanto alcune fonti di emissione sono state escluse e i piani di compensazione sono controversi.
Una preoccupazione fondamentale è che le pratiche di compensazione, al di là delle varie denominazioni con cui si fa riferimento a esse, pregiudichino il conseguimento reale degli obiettivi e traggano in inganno i consumatori. “La metà delle aziende prese in esame nella nostra valutazione, tra cui Apple, Deutsche Post DHL, Google e Microsoft, oggi fa dichiarazioni in merito alla neutralità carbonica, ma queste ultime riguardano in media solo il 3% delle emissioni di queste aziende. La stragrande maggioranza delle fonti di emissione è esclusa da queste rivendicazioni. Tuttavia, questa informazione fondamentale non è chiara nei materiali di marketing presentati ai consumatori. Almeno tre quarti delle aziende che abbiamo valutato prevedono di affidarsi in futuro a pratiche di compensazione attraverso progetti correlati alla silvicoltura e all’utilizzo del suolo”.

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