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Gli Pfas e l’acqua del Veneto. Battibecchi fra Zaia e il Governo

where Venezia when Lun, 25/09/2017 who roberto

Che cosa sono e chi usa questi composti fluorurati - Gli interventi dei ministri Lorenzin e Galletti

Continuano in Veneto le polemiche sulla pfas.jpgpresenza di Pfas, composti fluorurati usati come impermeabilizzanti e antimacchia nell’industria conciaria e tessile. L’associazione ambientalista Greenpeace accusa la società vicentina Miteni, che li produceva fino ad alcuni anni fa; la Miteni replica a Greenpeace; il presidente del Veneto, Luca Zaia, accusa il Governo di non avere fatto nulla; il Governo (i ministri Beatrice Lorenzin della Salute e Gian Luca Galletti dell’Ambiente) accusano Zaia di non aver fatto nulla.
Di che cosa stiamo parlando - Composti fluorurati (perfluoroalchilici) capaci di non far aderire grassi e acqua, gli Pfas sono usati per le superfici antiaderenti, nell’industria conciaria e negli stabilimenti tessili. Sono composti Pop, cioè inquinanti organici persistenti, perché le loro molecole stabili così poco reattive tendono ad accumularsi e non vengono metabolizzate o biodegradate con facilità. Gli Pfas sono presenti nelle acque di tutte le arie ad alta densità di concerie e industrie tessili, come per esempio nel Veneto centrale. In Italia erano prodotti dalla Miteni di Trissino (Vicenza); oggi le industrie conciarie e tessili importano grandi quantità di Pfas da produttori esteri. Si sospetta che possano nuocere alla salute, ma non v’è alcuna prova. Per questo motivo non vi sono nel mondo limiti alla presenza di Pfas, a parte pochi Paesi che si sono dati regole nazionali, e fra questi l’Italia dopo la questione degli Pfas negli acquedotti veneti. Quando il Veneto con una legge regionale ha voluto darsi obiettivi prospettici più stringenti rispetto ai limiti nazionali, il ministero della Salute ha trasformato quegli obiettivi in limiti massimi regionali immediati, i più bassi al mondo. Gli acquedotti veneti hanno condotto investimenti in depurazione delle acque e ora èrogano acqua in regola, ma gli Pfas sono ancora presenti nelle acque libere. Le analisi hanno riscontrato presenza di questi composti nell’organismo di molte persone del Veneto.
Le accuse di Greenpeace - "Chi paga per l'inquinamento da Pfas in Veneto?" È questo uno degli interrogativi principali a cui cerca di dare una risposta il nuovo rapporto di Greenpeace presentato a Venezia presso la Sala San Leonardo, "Emergenza Pfas in Veneto, chi inquina paga?".
Elaborato dall'istituto di ricerca indipendente olandese Somo in collaborazione con Merian Research (Berlino), il rapporto tenta di fare luce sull'assetto societario di Miteni, l'azienda chimica di Trissino ritenuta dalle autorità locali la fonte principale dell'inquinamento da Pfas.
Secondo Greenpeace, alcuni dirigenti della presente e della passata gestione di Miteni risultano indagati, dalla Procura di Vicenza, per reati ambientali. Nel caso venissero confermate le ipotesi di reato a carico di Miteni, l'azienda dovrebbe coprire i costi delle bonifiche e altre richieste di risarcimento.
Secondo Somo, Miteni ha chiuso i bilanci in passivo negli ultimi 10 anni e il collegio sindacale dell'azienda, nell'ultimo bilancio, ha invitato la proprietà a una ricapitalizzazione per non compromettere la continuità aziendale.
Dal 2009, ricorda Greepeace, Miteni fa parte del gruppo Icig, a sua volta controllato dalla holding lussemburghese Ici Se (International Chemical Investors), che, a fine 2016, aveva in cassa più di 238 milioni di euro. Sempre guardando al bilancio 2016, le risorse finanziarie con cui invece Miteni potrebbe far fronte ad eventuali risarcimenti erano pari ad appena 6,5 milioni di euro. Una cifra modesta se paragonata con i soli costi per il rifacimento degli acquedotti, che la Regione Veneto stima in 200 milioni di euro.
"Miteni versa in una situazione finanziaria estremamente difficile. La domanda che si fanno i cittadini e che si è fatta anche Greenpeace è: chi paga? - commenta Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace. - Pare escluso che Miteni, se condannata, possa risanare questo territorio e risarcire i suoi cittadini per i danni sanitari e ambientali di un inquinamento che coinvolge più di 350mila persone. Uno dei cardini dell'ordinamento giuridico italiano ed europeo - chi inquina paga - verrebbe così eluso".
La Miteni risponde – “È del tutto falso che la proprietà di Miteni, Icig, abbia come attività l'acquisizione e rivendita di aziende per farne profitto con la cessione. Icig non ha mai venduto nessuna delle società acquisite. Acquisisce, risana e fa crescere le aziende dopo averle salvate spesso dalla chiusura e dal fallimento. Questo vale anche per Miteni che nel 2009, quando è stata acquistata, era in perdita di 4,8 milioni di euro, questo il motivo per cui è stata venduta da Mitsubishi a un prezzo simbolico. Icig l'ha salvata, ristrutturata e rilanciata”, afferma la società.
“Non ha alcun fondamento la presunta disponibilità di cassa di 239 milioni di Euro da parte di Icig. Bisogna guardare anche la colonna del debito quando si fanno i conti. Icig ha 181,6 milioni di euro di debito finanziario e 64,1 di disavanzo commerciale, sembra poco credibile che questo sia sfuggito all'analisi dei dati. Ribadiamo con fermezza che le indagini sui terreni fatte da Mitsubishi non erano a disposizione di Miteni, che sta facendo azione legale contro la precedente proprietà. Quei documenti a Trissino non c'erano. Va anche ribadito, peraltro, che la campagna di ricerca e scavi fatta all'interno dello stabilimento insieme ad Arpav sulla base delle indicazioni del nucleo ecologico dei carabinieri in queste settimane non ha rivelato alcun rifiuto sepolto”.
L’azienda aggiunge che “è un dato di fatto che l'azienda non produca più Pfas a catena lunga dal 2011, quelli biopersistenti. È evidente che più sono giovani le persone che accumulano Pfas nel sangue meno queste sostanze possono provenire da Miteni. L'azienda sta sottraendo Pfas all'ambiente, depurando la falda con performance del 99% e avendo gli scarichi, anche quelli industriali, che rispettano i limiti delle acque potabili. Il tribunale Superiore della acque pubbliche con una sentenza dello scorso gennaio ha indicato che per risolvere il problema Pfas bisogna intervenire su chi li utilizza, e non ha nemmeno citato Miteni. Ha disposto che venga fatto il censimento degli scarichi poiché ci sono decine di industrie che utilizzano e immettono sostanze che Miteni non produce più da anni. Il distretto dell'alto vicentino è simile ad altri distretti industriali con lo stesso problema di presenza di Pfas nelle acque e non si comprende perché nelle altre regioni a inquinare siano le industrie che li impiegano nei processi di lavorazione mentre nel Veneto sia Miteni la responsabile, l'unica azienda sottoposta a controlli rigorosi e certificazioni ambientali”.
Zaia: il ministero non vede la realtà - Il Veneto ha deciso di procedere da solo a una "drastica riduzione dei limiti" della concentrazione di Pfas nelle acque potabili". A dirlo il governatore Luca Zaia, criticando il ministero della Salute. Nei prossimi giorni la Giunta veneta adotterà direttamente provvedimenti che dovrebbero portare i limiti ai livelli più bassi d'Europa. "Non c'è che da prendere atto dell'atteggiamento scandaloso del Ministero della Salute che, negando la necessità di fissare limiti nazionali per la concentrazione di Pfas nelle acque potabili, fa finta di non vedere la realtà e, di fatto, ci dice di arrangiarci. Annuncio che da questo momento ci arrangiamo e, in piena autonomia, procederemo a una drastica riduzione dei limiti in Veneto".
Lorenzin, la Regione non vede la realtà - Sulla vicenda dell'inquinamento da Pfas il ministero della Salute "è intervenuto con l'Istituto superiore di sanità e non solo abbiamo individuato il problema ormai qualche anno fa, ma abbiamo invitato la Regione Veneto a procedere e ad arginare quello che è un fenomeno ad altissimo rischio per tutta la popolazione". Lo ha spiegato la ministra della Salute Beatrice Lorenzin. “Come ministero abbiamo stanziato le risorse pari a quanto aveva sostenuto come spesa la Regione Veneto, attuando al contempo altre procedure che sono intervenute". Su questo tema "facciamo tutto ciò che va fatto in base alla tutela e salubrità delle acque e con il Consiglio superiore di sanità e con i nostri report, siamo costantemente sul tema. Questo rimpallo di responsabilità non è una buona cosa quando si parla di azioni così pesanti sul piano ambientale, che sono perdurate nel tempo e che tra l'altro sono state tempestivamente individuate ed arginate da questo ministero".
Il ministro Galletti - "Credo non ci sia mai stato un impegno tanto serio e determinato sui Pfas quanto quello messo in campo dal ministero dell'Ambiente e più in generale dai governi Renzi e Gentiloni in questi anni. Oggi ci sono standard di qualità ambientale per le acque superficiali e sotterranee che includono per la prima volta anche i Pfas, c'è un grande lavoro tecnico e scientifico con gli esperti del ministero a disposizione delle Regioni per l'individuazione delle migliori strategie a protezione dell'ambiente e della salute dei cittadini, ci sono soprattutto i fondi statali per le infrastrutture e l'approvvigionamento idrico di acqua non contaminata per la Regione Veneto. È proprio di pochi giorni fa il decreto che sblocca gli ulteriori 80 milioni promessi nell'ambito dei Fondi Sviluppo e Coesione, assieme agli altri 23 già disponibili". Lo afferma il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti. "Siamo l'unico Paese in Europa che ha inserito i Pfas negli standard di qualità ambientale delle acque superficiali e sotterranee, imponendo un monitoraggio sul rispetto dei valori soglia anche oltre i confini veneti. Per il conseguimento di questi standard e alla luce delle pressioni che vengono esercitate sul proprio territorio, come dice inequivocabilmente il Codice ambientale all'articolo 101, la Regione nell'esercizio della sua autonomia può, tenendo conto degli scarichi massimi assimilabili, definire valori limite anche diversi. In sostanza spetta alla Regione creare le condizioni di maggior tutela per il proprio territorio, conciliandole con le esigenze di sviluppo e armonizzandole alla legislazione europea e nazionale. Per aiutarla in questo lavoro il ministero coordina ormai da un anno un gruppo tecnico in cui i rappresentanti della Regione Veneto e Arpav possono confrontarsi sulle migliori pratiche disponibili e sulle soluzioni con i rappresentanti del mondo scientifico dell'Istituto Superiore di Sanità, di Ispra e di Irsa-Cnr oltre che con i nostri tecnici. Sul fronte delle risorse - prosegue Galletti - il ministero ha ripreso in mano l'accordo per il bacino del Fratta Gorzone: dei 90 milioni previsti da un lontano accordo del 2005 - trenta per parte da governo, Regione e gestori del servizio idrico - risultavano al 2015 spesi solo 7,9 milioni di fondi statali. Grazie a questa nuova intesa oggi, dopo una lunga ricerca sul territorio della composizione degli interessi, 23 milioni di risorse dello Stato sono nuovamente utilizzabili per il distretto conciario di cui circa 10 milioni di euro e per gli interventi di corretta gestione dei fanghi e 13 sulle fognature e depurazione in un'area molto complessa per la concentrazione di PFAS".
Guerra del ministero della Salute - La Regione Veneto "non può invocare autonomia nell'attuazione dei piani vaccinali nazionali e dimenticare la propria responsabilità nell'attuazione di misure che la vedono in primissima linea sia per quanto accaduto che per quanto è stato finora compiuto". Lo afferma il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Raniero Guerra. "Non sono i limiti che vengono posti in discussione ma la realizzazione di un piano complessivo di sicurezza, in base all'analisi di rischio del quale vengono poi fissati i limiti".

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