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Efficienza energetica nell’industria, prima del 2023 non si tornerà ai livelli di investimento pre-Covid

where Milano when Ven, 10/07/2020 who roberto

Lo dicono i dati del Digital Energy Efficiency Report 2020 elaborato dall’Energy&Strategy Group. Chiaroni: “L’auspicato cambio di passo non c’è stato, a causa di un quadro normativo ancora poco chiaro e operatori non in grado di cogliere le opportunità”

Dovremo attende fino al 2023, se non industrialplant.pngoltre, per tornare ai livelli di investimenti del 2019. Lo hanno detto 150 aziende coinvolte nel decimo Digital Energy Efficiency Report 2020 elaborato dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano sul tema dell’efficienza energetica a livello industriale. La survey per il secondo anno consecutivo ha analizzato gli investimenti connessi sia alla parte hardware che a quella software dell’efficienza energetica, senza dimenticare lo studio delle ESCo, della normativa, della flessibilità (con le potenzialità per gli operatori di affacciarsi a un nuovo mercato) e - per la prima volta - dell’efficienza dei trasporti.

“La frenata degli investimenti, per il primo anno con segno negativo (-0,9%) quanto alla componente hardware, è dovuta al mancato cambio di passo del comparto dell’efficienza energetica industriale in Italia, determinato da due fattori: la saturazione del mercato interno per quelle tecnologie che avevano rappresentato i motori della crescita (sistemi di illuminazione e di combustione, cogenerazione) e l’incapacità di esprimere appieno il proprio potenziale per le nuove soluzioni legate ai processi produttivi e ai sistemi di gestione dell’energia - commenta Davide Chiaroni, Vicedirettore dell’Energy&Strategy Group -. Le ragioni di questo insuccesso sono almeno tre, tra loro correlate: un quadro normativo poco chiaro, la difficoltà degli operatori a cogliere le opportunità legate alla digitalizzazione dei processi e al nuovo mercato della flessibilità e il fatto che si sia arrestata la loro crescita, sia in numero che in ‘maturità’. È possibile invertire la rotta? Certamente sì, in particolare esplorando nuove vie, come quella dell’efficienza nei trasporti”.

Il mercato dell’efficienza energetica industriale
Ammontano a circa 2,6 miliardi di euro nel 2019, appena un +1,9% rispetto al 2018, gli investimenti in efficienza energetica nel comparto industriale, oltre il 90% dei quali relativi a tecnologie hardware, mentre solo il 7,5% riguarda software per il controllo e monitoraggio delle prestazioni dei cicli produttivi. Tuttavia, è in questa fascia minoritaria che si concentra la maggiore crescita: +34% sul 2018, pari a 200 milioni di euro, a testimonianza di come siano sempre più importanti la gestione di dati e la diagnosi energetica, divenuta obbligo di legge.
Rispetto al 2018, si registra una crescita significativa degli interventi sul processo produttivo (+18%), trend ormai consolidato nell’ultimo triennio che li fa salire al primo posto, e dei sistemi di aria compressa, che registrano un volume di affari di 170 milioni di euro (16%); seguono i sistemi HVAC e refrigerazione (+6%), stabili gli investimenti in relamping (illuminazione) e inverter e addirittura in calo (-5%) quelli in motori elettrici, cogenerazione (-13% sul 2018, a sua volta in diminuzione del 24%, a testimonianza di un segmento in sofferenza dall’entrata in vigore del Decreto Energivori) e sistemi di combustione (-19%). In sintesi, le tecnologie con un maggior grado di maturità vengono installate per sostituzione e mostrano una contrazione degli investimenti, mentre quelle con un minor grado di maturità, in particolare gli interventi di processo, che servono a ridurre in maniera significativa i consumi, si rivelano in crescita o stabili.
Dei 196 milioni di euro investiti in tecnologie software per l’efficientamento energetico, circa 90 milioni (46%) hanno riguardato il monitoraggio energetico. A seguire, la sensoristica di base (20%), i sistemi SCADA (12%) e di cloud computing (10%). In questo scenario non dei più rosei si è innestata l’epidemia da Covid19, che ha causato una riduzione degli investimenti nel 2020 (nella migliore delle ipotesi) di oltre il 25%, con un impatto del 20% sul fatturato degli operatori.
Nell’auspicata ipotesi di una ripresa nel 2021, sono stati disegnati due scenari previsionali: uno tendenziale, che immagina una crescita degli investimenti forte (rebound effect) ma inferiore alla contrazione del 2020, nonché limitata all’anno (successivamente sarebbe molto contenuta); e un altro full recovery, con aumento sostenuto degli investimenti anche negli anni successivi e in grado di colmare la flessione del 2020. Come si vede dal grafico, però, solo dal 2023 nello scenario full recovery e ben oltre il 2025 in quello tendenziale si ritornerà su valori di investimento vicini a quelli del 2019.

Il quadro normativo
è evidente che un intervento normativo di rilancio del comparto sia quanto mai auspicabile, ma il quadro non è favorevole, in particolare con riferimento ai Certificati Bianchi. I risparmi conseguiti da nuovi progetti sono in continuo calo dal 2016 (0,06 Mtep nel 2019, circa un quarto del valore previsto nel 2021), anche per la riduzione costante dei TEE riconosciuti (2.906.000 nel 2019, 927.000 in meno sul 2018, pari al 24%, e tuttavia meglio del -34% dell’anno precedente). In pratica, in soli due anni il numero di TEE riconosciuti si è praticamente dimezzato, portando a uno squilibrio sul mercato e a crescenti difficoltà nell’adempimento degli obblighi previsti dalla normativa. Una possibile causa della progressiva riduzione del numero di Titoli di Efficienza Energetica riguarda l’esito dei procedimenti riconosciuti dal GSE. Infatti, nel 2019 il 97% degli oltre 5.000 procedimenti si è concluso negativamente, percentuale ben più alta che per altri incentivi.
Benché le cause che hanno portato a un rallentamento degli investimenti in efficienza energetica siano molteplici, certamente una delle principali è la crisi del meccanismo dei Certificati Bianchi, determinata in particolare dalla lentezza delle procedure burocratiche e di conseguenza del riconoscimento dei progetti. Altri due fattori, secondo gli operatori, sono la non ammissibilità di alcune tipologie di interventi e la non cumulabilità dei TEE con gli incentivi previsti dal Piano Impresa 4.0, novità introdotta l’ultimo anno. Solo una riforma in grado di rilanciare il meccanismo risolvendone le problematiche potrà aiutare gli investimenti in efficienza energetica nel comparto industriale.

I numeri della survey
Come di consueto, l’E&S Group ha condotto una survey che ha coinvolto 150 tra imprese e operatori del settore, intervistati sulle misure intraprese in materia di efficienza energetica. Secondo i dati raccolti, il risparmio energetico annuo medio ottenuto dalle aziende che hanno effettuato investimenti in soluzioni hardware nel 2019 si attesta sull’11%. Si tratta del 69% del campione, percentuale che sale all’80% (ma era l’88% nel 2018) tra le grandi aziende, mentre diminuisce tra le PMI (56%, -27% rispetto al 2018). Solo il 40% dei soggetti non obbligati ad eseguire la diagnosi energetica l’ha effettuata, rispetto al 74% dei soggetti obbligati.
Oltre 6 aziende su 10 sono intervenute sul processo produttivo ed è rilevante anche la percentuale di chi ha effettuato interventi di revamping, mentre solo il 20% si è occupato di cogenerazione e sistemi di combustione efficiente. Le principali barriere agli investimenti sono gli eccessivi tempi di ritorno e l’incertezza del quadro normativo, mentre la scarsa consapevolezza del top management e la difficoltà di accesso al capitale di terzi sono meno vincolanti, segno dell’accresciuta consapevolezza del mercato.
Quanto agli investimenti in software, dichiara di averli effettuati nel 2019 il 44% del campione, senza sostanziali differenze tra PMI (46%) e grandi aziende (41%), ottenendo un risparmio annuo medio del 5% nel caso le abbia utilizzate per il monitoraggio dei dati energetici: ben il 70% delle aziende, infatti, ha investito in software dedicati all’energia e oltre il 60% nella sensoristica di base associata all’energy management. Ma, se è evidente che sensoristica di base e SCADA abbiano principalmente questa funzione (rispettivamente nel 71% e nell’80% dei casi), lo stesso non vale per gli ERP, utilizzati a questo scopo solo nel 28% dei casi.
Nel corso del 2019 le ESCo certificate sono aumentate dell’1% rispetto al 2018, quando la crescita era stata del 6%, segno che il mercato ha raggiunto un certo livello di maturità. Il 70% degli intervistati opera sia in ambito industriale (settore in cui però si evidenzia un calo di interesse) che civile. Tuttavia, è nel comparto industriale che si concentra circa la metà dei ricavi per 6 operatori su 10. I servizi offerti in ambito industriale hanno riguardato, per il 94% dei player, interventi di consulenza ed audit energetici; importante anche il monitoraggio, servizio offerto da quasi il 90% delle ESCo. La forma contrattuale maggiormente utilizzata rimane l’EPC (56%), che nella maggior parte dei casi viene applicata con il rischio finanziario a carico delle ESCo. Rilevante (22%) anche la percentuale di contratti effettuati con formula “chiavi in mano”.
Nonostante i progetti pilota per le UVAM siano iniziati solamente un anno fa, più di 8 aziende su 10 ne sono a conoscenza e tuttavia solo il 7% vi partecipa attivamente (il 70% offre servizi di flessibilità attraverso un cogeneratore, il 30% attraverso parti del processo produttivo). Poco diffusi anche gli asset necessari per offrire flessibilità al mercato: all’interno del campione intervistato, poco meno del 50% dispone di un impianto di cogenerazione (46%), potenzialmente in grado di offrire flessibilità tramite i progetti pilota UVAM. Nel 79% dei casi tali impianti sono gestiti internamente all’azienda, nel 12% da una ESCo e solamente nel 9% da un technology provider. La barriera più rilevante per la partecipazione alle UVAM è il timore degli industriali che questo possa influenzare negativamente la produttività dell’azienda.
      
Trasporti e ruolo della PA
Il settore dei trasporti in Italia pesa per il 32,4% del consumo energetico nazionale: circa l’83% riguarda il trasporto stradale (sia merci che passeggeri), il resto l’aviazione, la navigazione e le ferrovie. Negli ultimi 10 anni si è registrata una riduzione di circa il 10% dei consumi totali, rappresentati per il 91,8% da prodotti petroliferi; seguono FER (3,7%), gas naturale (2,8%) ed energia elettrica prodotta da fonti fossili (1,6%). Il trasporto pubblico locale impiega circa 124.000 addetti in 930 aziende, ha un fatturato annuo di 12 miliardi di euro (ricavi da traffico e contributi pubblici) e trasporta 5,4 miliardi di passeggeri, oltre 15 milioni al giorno: analizzandone i consumi energetici, si vede che essi rappresentano circa l’1% del totale con 308 ktep, mentre il trasporto a lunga percorrenza pesa per il 14% (2.400 ktep). Negli ultimi anni si sta assistendo a una graduale sostituzione dei veicoli più obsoleti con mezzi a più ecologici. Tuttavia, la quota di autobus che utilizzano combustibili ad alto livello di emissioni resta la più alta sia in ambito urbano che extraurbano. Sono molte le potenzialità di intervento e riguardano, più che i veicoli, le infrastrutture: gli investimenti stanziati al 2033 sono 22,7 miliardi di euro, il 60% dei quali per lo sviluppo delle infrastrutture metropolitane, tranviarie e per il trasporto rapido di massa, con la creazione attesa di 110.000 posti di lavoro.

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