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Attacchi in Arabia. Analisi: giù la produzione del 5-6%, ma ora non c’è più solo l’area Opec

where Roma when Lun, 23/09/2019 who roberto

L’analisi UP sui possibili scenari rileva che la contrazione è uguale a quella seguita alla guerra del Kippur del 1973; oggi, però, la produzione è molto più distribuita di allora

Con gli attacchi all'Arabia Saudita è drone-attacco.jpgvenuto a mancare al mercato il 5-6% della produzione mondiale di greggio. Uno degli ammanchi maggiori della storia, equiparabile solo a quello registrato nel 1973-74 in occasione della guerra del Kippur, a seguito della rivoluzione iraniana nel 1978-'79 e della guerra Iraq-Iran nel 1980-81, quando i prezzi nel giro di poco tempo praticamente raddoppiarono. Lo evidenzia un’analisi di Unione Petrolifera sulle possibili conseguenze derivanti dagli attacchi compiuti da droni in Arabia Saudita la scorsa settimana.
 
Prezzi stabili, per ora - Fortunatamente, rispetto ad allora la produzione oggi non è più esclusivamente concentrata nell'area Opec, ma risulta molto più distribuita a livello geografico. Attualmente gli Stati Uniti sono il primo produttore mondiale con oltre 17,4 milioni b/g, seguiti dalla Russia con 11,6 milioni b/g. I due paesi, insieme, coprono circa il 30% dell'offerta mondiale. Questo il motivo per cui i prezzi, almeno per il momento, hanno mostrato delle variazioni importanti restando comunque al di sotto dei picchi raggiunti negli ultimi due anni. Segno che i mercati per ora appaiono regolarmente approvvigionati.
 
Il soccorso degli altri Paesi produttori – Tuttavia, la situazione rimane delicata perché bisognerà capire in quanto tempo l'Arabia Saudita tornerà realmente a pieno regime sul mercato (per ora ha dichiarato che 1,7 milioni b/g dovrebbero essere ripristinati nell'arco di pochi giorni). Fino a quel momento l'equilibrio del sistema è collegato alla possibilità degli altri Paesi produttori di aumentare la propria offerta. Sulla carta dovrebbero essere disponibili, in ambito Opec e al netto dell'Arabia Saudita, circa 940.000 b/g di "spare capacity", ovvero di offerta aggiuntiva resa disponibile entro 90 giorni. Quali altri Paesi potrebbero colmare nell'immediato il restante gap? Gli Stati Uniti, che negli ultimi anni hanno registrato un forte incremento della produzione (2,5 milioni b/g in più nel 2018 e 1,7 milioni b/g già stimati per il 2019), difficilmente potranno aumentarla ulteriormente in modo significativo. Anche la Russia probabilmente non potrà aggiungere molto più di quanto ha tagliato nell'ambito dell'accordo "Opec Plus", cioè 200-300.000 b/g.
 
Il ruolo dell’Iran e il problema sanzioni - A fare la vera differenza potrebbe essere l'Iran, che è il Paese con la più ampia capacità produttiva inutilizzata, stimata intorno a 1,7 milioni b/g. Sull'Iran ad oggi pesano però le sanzioni sia americane che europee. Resta infine la carta del ricorso alle "scorte strategiche" che si potranno utilizzare solo nel caso in cui l'Arabia Saudita invocasse la "forza maggiore" e fossero seriamente messi a rischio gli approvvigionamenti. Quindi il sistema ha in sé le risorse per contenere gli effetti più negativi di questa situazione di emergenza nel breve termine. È evidente però che se si dovesse protrarre troppo a lungo nel tempo, ne risentirebbe la tenuta dell'offerta e quindi l'effetto sui prezzi diverrebbe molto più significativo.
 
Il commento di Descalzi - “Dal punto di vista della sicurezza energetica, al momento, non ci sono rischi per l’Italia. Ci sono rischi di tensione geopolitica in Paesi che sono vicini all’Italia, ovvero in Medioriente e Nord Africa. L’episodio è gravissimo, anche perché non è mai successo che venissero bombardate in questo modo le facilities e gli hub produttivi più importanti al mondo. Questo ha creato una mancanza di petrolio, anche se ci sono le scorte, può creare dei precedenti e quindi c’è la preoccupazione che possa accadere di nuovo”. Lo ha detto a Sky Tg24 l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi.

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