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Eni-Saipem: Corte d'appello, mancata la prova certa della corruzione in Algeria

where Milano when Lun, 27/04/2020 who roberto

Lo scrivono i giudici della Corte d'appello di Milano nelle motivazioni della sentenza che ha parzialmente ribaltato la sentenza del processo per una presunta corruzione

"E' mancato, nel presente giudiziotribunale-milano.jpg, la prova certa della destinazione al ministro algerino Khelil, seppure parziale, delle risorse finanziarie corrisposte da Saipem a Farid Bedjaoui, la cui gestione in favore degli interessi dell'uomo politico è rimasta indimostrata sulla base dell'analisi dei flussi finanziari coinvolgenti la cosiddetta galassia Bedjaoui". Lo scrivono i giudici della Corte d'appello di Milano, seconda sezione penale, nelle motivazioni della sentenza che ha parzialmente ribaltato la sentenza del processo per una presunta corruzione internazionale da parte di Saipem e suoi dirigenti in Algeria. La Corte d'appello ha assolto Saipem e gli imputati il 15 gennaio scorso e ora sono state depositate le motivazioni. In primo grado, invece, il tribunale di Milano aveva emesso una sentenza di condanna per la presunta corruzione internazionale da parte della società di servizi petroliferi.
 
Per la Corte d'appello di Milano, "nella sentenza impugnata non è stata fornita alcuna precisazione circa le modalità concrete in cui il preteso favoritismo verso Saipem si sarebbe manifestato, limitandosi a rilevare che la partecipazione di società del gruppo sarebbe stata consentita solo in seguito al perfezionamento di un accordo corruttivo". Inoltre, continuano le motivazioni della sentenza di secondo grado "per tutte le irregolarità individuate dal tribunale e (da ultimo) dal pubblico ministero non è stato indicato alcun collegamento anche solo indiretto con la condotta del ministro Khelil", pubblico ufficiale indicato come "corrotto". In pratica, per i giudici "ci si è limitati ad affermare che il ministro avesse il potere di intromettersi nelle procedure (di gara, ndr), senza tuttavia indicare alcun concreto coinvolgimento in relazione alle specifiche irregolarità individuate". Inoltre, "la disponibilità da parte del ministro dell'Energia algerino di dossier relativi a commesse di importanza strategica per la politica energetica dell'Algeria non dovrebbe, di per sé, costituire elemento di sospetto in ordine agli interventi indebiti nelle singole gare", scrivono ancora i giudici della Corte d'appello di Milano.
 
Il processo, di cui sono state depositate le motivazioni di secondo grado, riguarda il presunto pagamento di una “maxitangente”, così l’aveva definita il pm di Milano Isidoro Palma durante il processo di primo grado, di 197 milioni di euro in Algeria per far ottenere a Saipem (partecipata da Eni) appalti da 8 miliardi di euro e presunte irregolarità nell'operazione del 2008 che portò Eni a comprare la società canadese First Calgary Petroleums Ltd, che come unica attività aveva un giacimento di gas a Menzel, in Algeria, in comproprietà con l'azienda statale algerina Sonatrach.
 
L'operazione è costata circa 923 milioni di dollari canadesi.
La tangente da 197 milioni di euro, secondo l’accusa, sarebbe stata pagata da Saipem attraverso dei contratti con la società Pearl Partners che, però, per la procura “non ha effettuato alcun lavoro o consulenza tale da giustificare un pagamento da 197 milioni”, avente come destinatario finale il ministro dell'Energia algerino Khelil. In primo grado, il 19 settembre 2019, il tribunale di Milano aveva assolto Paolo Scaroni in merito ai contratti di Saipem “per non aver commesso il fatto” e per il caso First Calgary “perché il fatto non sussiste”. Il tribunale, inoltre, aveva assolto dalle accuse anche il manager di Eni Antonio Vella e la stessa Eni, che era imputata per la legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti. La Corte d’appello ha giudicato inammissibile il ricorso della procura nei confronti di Eni e ha quindi confermato l’assoluzione per la società, per Scaroni e per Vella. 

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