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Trivelle. Greenpeace accusa le piattaforme Eni, Eni accusa Greenpeace

where Roma when Lun, 04/04/2016 who michele

Tutte le iniziative (e le repliche) dell’associazione

L’associazione Greenpeace è forse la più attiva in vista del referendum sulla durata delle concessioni petrolifere nelle acque territoriali, in programma il 17 aprile. Ecco una selezione dei principali comunicati quotidiani di Greenpeace, e delle repliche a questi comunicati.
Le cozze – Un quotidiano scrive che, nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Potenza sulle attività estrattive al Centro Olio Val d'Agri di Viggiano, emergerebbe dalle intercettazioni una grave alterazione a opera di dipendenti di Eni, dei piani di monitoraggio di un campo petrolifero offshore, al largo delle coste di Brindisi. I dipendenti dell'Eni avrebbero "scambiato le cozze che servono a monitorare la qualità degli scarichi in mare alterando così i dati sull'inquinamento delle acque. Sulla nave Firenze della compagnia petrolifera, ormeggiata al largo di Brindisi, infatti, i tecnici dell'Ispra nel 2014 avevano installato gabbie con mitili ("come bio-indicatori"). Ma a causa del mare mosso, i sacchetti con le cozze si sono rotti e alcuni dipendenti della compagnia petrolifera - scrive il gip di Potenza - "omettono deliberatamente di avvertire l'Ispra" dell'accaduto e sostituiscono le cozze con "altri mitili da loro procurati, inficiando di fatto l'efficacia del controllo ambientale". greenpeacenotrivelle.jpg
Per questo motivo Greenpeace deduce che “esistono piani di monitoraggio che non sono stati resi noti nonostante fossero stati richiesti al Ministero dell'Ambiente, con una istanza pubblica di accesso agli atti, i piani di monitoraggio di tutte le attività upstream in mare. A quella richiesta fece riscontro l'invio, da parte di funzionari del dicastero, dei piani di monitoraggio di 34 impianti, tra cui non figura quello in questione”.
Dice Greenpeace: “Eni sembrerebbe mentire quando sostiene che non vi sono piani di monitoraggio riguardanti i suoi impianti oltre quelli di cui Greenpeace già dispone”.

Le piattaforme spente – Secondo Greenpeace, “il 73 per cento delle piattaforme situate entro le 12 miglia marine dalle coste italiane sono non operative, non eroganti o erogano così poco da non versare neppure un centesimo di royalties alle casse pubbliche. Analizzando i dati presenti sul sito del Ministero per lo Sviluppo Economico relativi alla produzione delle piattaforme oggetto del referendum del prossimo 17 aprile, Greenpeace ha scoperto che in tre casi su quattro si tratta di impianti il cui ciclo industriale è chiaramente esaurito perché non producono o lo fanno in quantità insignificanti”.

greenpeacenotrivelle1.jpgAzione sulla piattaforma Agostino – Il 30 marzo un gruppo di attivisti di Greenpeace è entrato in azione sulla piattaforma Agostino. Gli attivisti hanno aperto sulla piattaforma due striscioni. Con l'azione Greenpeace annuncia di aver presentato in 30 procure della Repubblica un esposto contro le "trivelle fuorilegge". Il rapporto di Greenpeace si basa sui piani di monitoraggio di 34 impianti di proprietà di Eni. “In tre casi su quattro questi impianti non operano nel rispetto degli standard di qualità ambientale stabiliti dal Ministero dell'Ambiente”. Greenpeace ha ottenuto dal Ministero dell'Ambiente i piani di monitoraggio di 34 piattaforme di proprietà Eni, ma gli impianti operanti nei mari italiani sono in realtà 135. “Cosa ne è delle oltre 100 piattaforme e strutture assimilabili mancanti?”, si chiede Greenpeace. Inoltre, “nell'area marina intorno alle piattaforme sono presenti inquinanti in concentrazioni che spesso eccedono i valori limiti previsti dalle norme. Infine, dal momento della pubblicazione del rapporto, non sono stati ancora resi pubblici dati istituzionali sulla salubrità delle cozze raccolte presso le piattaforme offshore e vendute come alimento”.

Piattaforme senza controllo - In un comunicato del 31 marzo Greenpeace attacca ancora. “Nei mari italiani operano circa 100 piattaforme, a gas e petrolio, del cui impatto ambientale non si ha alcuna stima, misurazione o controllo. Greenpeace denuncia questa incredibile mancanza di supervisione dell'attività delle compagnie petrolifere nei nostri mari, precisando di avere appreso questa situazione da una nota stampa dell'Eni, proprietaria di gran parte degli impianti. Questo l'antefatto: a seguito di una istanza pubblica di accesso agli atti, lo scorso settembre Greenpeace aveva ottenuto dal Ministero dell'Ambiente i piani di monitoraggio di 34 piattaforme di proprietà Eni. L'associazione ambientalista aveva però chiesto al Ministero di poter accedere ai dati di tutte le piattaforme operanti nei mari italiani, che secondo il Ministero dello Sviluppo Economico sono 135”.
"Ecco svelato il mistero, finalmente: i petrolieri estraggono fonti inquinanti nei nostri mari e nessuno controlla. Alla faccia della normativa severissima che secondo il governo regolerebbe il settore, le attività di estrazione di gas e petrolio offshore assomigliano a un far west".

La piattaforma Vega dell’Edison - La Procura di Ragusa, dice Greenpeace, ipotizza “gravi e reiterati attentati alla salubrità dell'ambiente e dell'ecosistema marino attuando, per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi. Secondo Ispra la miscela smaltita illegalmente in mare contiene metalli tossici, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e Mtbe e ha causato danni ambientali e inquinamento chimico”.

L’Eni replica - Presso la piattaforma Agostino B sono stati adottati “i più elevati standard e linee guida internazionali nella gestione delle attività in tutti i contesti in cui opera, primo fra tutti l'ambiente marino”. È una nota Eni a rispondere a Greenpeace dopo l'azione dimostrativa condotta peraltro, dice ancora la Società in una nota, “in violazione delle norme di sicurezza stabilite dalla legge a tutela delle persone e degli impianti”. Relativamente alle 100 “piattaforme mancanti”, per le quali secondo Greenpeace non sarebbero stati forniti i piani di monitoraggio, Eni spiega che quelle di propria pertinenza, “non emettono scarichi a mare, né effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire”.
Gli impianti offshore di Eni nel Mare Adriatico sono dedicati, prosegue la nota, alla produzione di gas naturale, la più sostenibile tra le fonti fossili, ed operano da sempre nel pieno rispetto delle leggi e delle prescrizioni vigenti. Rigidi controlli ambientali vengono eseguiti da Ispra e dalle Capitanerie di Porto, coadiuvante dalle Arpa locali. Eni, si legge ancora nella nota, come previsto dalle normative, annualmente fornisce al Ministero dell'Ambiente un rapporto sulle caratteristiche quantitative e qualitative delle acque e delle attività effettuate sulle piattaforme. Le analisi svolte dagli enti di controllo e i rapporti di Eni confermano dunque, dice ancora il colosso energetico, “che non vi sono criticità per l'ecosistema marino riconducibili alle attività di produzione di idrocarburi in nessuna delle matrici ambientali monitorate”.
“I limiti presi in considerazione da Greenpeace per le sostanze oggetto di monitoraggio non rappresentano limiti di legge definiti per valutare l'eventuale inquinamento derivante da una specifica attività antropica”, dice ancora l'Eni. Tali valori, prosegue, “sono utilizzati da Ispra come riferimento tecnico nelle relazioni di monitoraggio dell'ecosistema marino circostante le piattaforme unicamente per valutarne le eventuali alterazioni, sulla base di un confronto con standard di qualità utilizzati per aree incontaminate”.
I limiti presi a riferimento da Greenpeace, ossia gli Standard di Qualità Ambientale definiti nel D.M. 56/2009 e D.M. 260/2010, sono utilizzati per definire una classificazione comune a livello europeo circa lo stato di salute di un ambiente incontaminato in corpi idrici superficiali e riguarda, pertanto, le acque marine costiere all'interno della linea immaginaria distante 1 miglio nautico (circa 1,8 km) dalla linea di costa, mentre tutte le 34 piattaforme, oggetto dell'analisi, sono ubicate ad una distanza dalla costa compresa tra 6 miglia (10,5 km) e 33 miglia (60 km). Circa quanto riportato da Greenpeace sull'inquinamento da idrocarburi nel Mediterraneo, infine, conclude Eni, “è utile ricordare che studi effettuati da Università e Istituti scientifici evidenziano che per il 60% tale inquinamento deriva da scarichi civili e industriali e per il 40% dal traffico navale, che riversa in mare circa 150.000 ton/anno di idrocarburi. Insignificante, invece, l'apporto dell'attività petrolifera (< 0,1%)”.

immagini
Striscione di Greenpeace contro le trivelle Attivista Greenpeace contro le trivelle in azione
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