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Trivelle. Il Tar della Calabria boccia un Comune no-triv. La sentenza

where Catanzaro when Lun, 19/09/2016 who michele

Il sindaco di Roseto Capo Spulico aveva contestato i permessi di cercare giacimenti al largo dello Ionio e aveva vietato l’uso dell’airgun, ma i giudici gli hanno dato torto: via libera alle ricerche

schemafunzionamentoairgun.jpgIl Tar Calabria ha bocciato l’ordinanza con cui il Comune di Roseto Capo Spulico (Catanzaro) aveva vietato l’uso dell’airgun nel mare Ionio, in opposizione al Via libera del ministero dell’Ambiente, il quale aveva permesso la ricerca di giacimenti nel mare a una trentina di chilometri dalle coste calabresi.
L’airgun è un dispositivo che, lanciando colpi d’aria compressa sul fondo del mare permette, attraverso le vibrazioni nel terreno, di compiere un’ecografia del sottosuolo e di individuare la presenza di giacimenti.
Il Tar ha “condannato” il Comune per diversi motivi.
Per esempio, il Comune non ha usato il normale percorso delle osservazioni durante la Valutazione di impatto ambientale del ministero dell’Ambiente; il mare è di competenza dello Stato e non di uno solo dei molti Comuni che vi si affacciano (i confini municipali si fermano alla spiaggia); la procedura Via aveva già esaminato l’impatto dell’airgun sull’ambiente e aveva già fissato gli obblighi per ridurlo; non si vieta senza supporto scientifico o tecnico un’attività già esaminata e approvata da organi scientifici e tecnici.
 
Ecco il testo della sentenza:
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1863 del 2015, proposto da:
Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Catanzaro, Via G.Da Fiore, 34;
contro
Comune di Roseto Capo Spulico, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanna Bellizzi, con domicilio eletto presso Tar Segreteria in Catanzaro, Via De Gasperi, 76/B; Sindaco del Comune di Roseto di Capo Spulico;
per l'annullamento
dell'ordinanza n. 27 del 21/7/2015 di divieto esecuzione lavori installazione macchine per ricerca idrocarburi solidi e gassosi
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Roseto Capo Spulico;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2016 il dott. Raffaele Tuccillo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare chiedevano di annullare l'ordinanza n. 27 del 21.7.2015 con cui veniva ordinato il divieto o la sospensione nel proprio territorio e nel bacino Jonico antistante dell'esecuzione di ogni lavoro installazione di macchine o attività presupposta, connessa e consequenziale alla ricerca di idrocarburi solidi e gassosi e collegate alle attività di ispezione e trivellazione. Riferiva: che il Ministero aveva interesse a ricorrere in quanto l'attività estrattiva era prodromica al raggiungimento degli obiettivi strategici nazionali; che i ministeri erano firmatari del d.m. 8.3.2013 di approvazione del documento di strategia energetica nazionale, quali amministrazioni competenti per la realizzazione degli obiettivi di politica economica energetica e, per il Ministero dell'Ambiente, quale amministrazione che ha emesso il provvedimento n. 122 del 2015 avverso il quale è insorto il comune resistente; che vi era stata violazione del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi; che l'attività assentita aveva ad oggetto l'effettuazione di indagine sismica; che il comune aveva fatto riferimento a diversi poteri senza tuttavia qualificare chiaramente la natura giuridica dell'atto, con conseguente violazione del principio di tipicità.
Impugnano il provvedimento per violazione degli artt. 216 e 217 r.d. 1265/34, incompetenza, carenza di istruttoria, eccesso di potere, violazione del principio di consolidamento degli atti amministrativi e del principio di leale collaborazione. Riferiva: che il comune era incompetente ad adottare il suddetto provvedimento in quanto l'area interessata distava oltre 17 miglia nautiche dalla costa, con conseguente carenza assoluta di potere del Sindaco; che l'esercizio dei poteri di cui agli artt. 216 e 217 non era giustificato dall'urgenza con la conseguente violazione del diritto di partecipazione dei soggetti interessati; che non era stato acquisito il parere della struttura tecnica sanitaria competente; che sulla base delle citate disposizioni il comune doveva dapprima ordinare la collaborazione dell'impresa e solo successivamente in caso di inadempimento intervenire per regolamentare d'ufficio l'esercizio dell'attività insalubre; che il Comune era tra l'altro stato invitato a partecipare tempestivamente al procedimento di valutazione di impatto ambientale esitato nel provvedimento n 122 del 2015 e che riguardava opere di interesse interregionale; che tra l'altro aveva così aggirato il vincolo della perentorietà del termine per impugnare il provvedimento.
Impugnava il provvedimento per violazione degli artt. 50 e 54 d.lgs. 267 del 2000 come precisato in ricorso. Riferiva: che il provvedimento era estraneo ai confini territoriali del comune; che non era stato fissato un termine di durata del provvedimento; che mancava una situazione di urgenza; che non era stata svolta istruttoria sull'accertamento dell'esistenza di una situazione di pericolo; che le ricadute ambientali erano state oggetto di esame già nel d.m. n. 122 del 2015.
Si costituiva il Comune di Roseto Capo Spulico chiedendo di rigettare il ricorso. Riferiva: che il ministero dell'ambiente era privo di legittimazione processuale attiva; che tale ricorso era in contrasto con l'art. 1 della l. n. 349 del 1986; che il Ministero non poteva impugnare un atto adottato con il solo fine di tutelare l'ambiente e non aveva alcun interesse né legittimazione in materia energetica; che ne discendeva la nullità dell'intero ricorso; che l'attività oggetto del provvedimento era una attività di tipo industriale che comportava l'utilizzo di impianti e tecnologie potenzialmente impattanti; che non era prevista la partecipazione di altri enti; che il principio di precauzione consentiva di intervenire anche in casi in cui i danni erano poco conosciuti o solo potenziali.
2. L'eccezione di difetto di legittimazione attiva del Ministero dell'ambiente non può trovare accoglimento. Occorre precisare che rientra nella sua funzione la tutela generale dell'ambiente con la conseguenza che l'interesse del ministero a ricorrere avverso un atto non si può ritenere esistente nelle sole ipotesi in cui l'atto sia diretto a danneggiare l'ambiente, ma anche nelle ipotesi in cui questo sia diretto, astrattamente, a tutelarlo. Nelle finalità del Ministero rileva il perseguimento dell'interesse ambientale, come nozione unitaria, comprensiva dell'insieme di attività idonee a incidere, tra l'altro, sulla qualità della vita e sulla salubrità del territorio. Il Ministero ha interesse a ricorrere in tutte le ipotesi in cui atti o fatti siano diretti a produrre effetti sul bene ambiente, sia di carattere positivo che negativo, dovendosi ritenere irrilevante, in concreto, la direzione dell'atto (a tutela o meno dell'ambiente). L'interesse ambientale rappresenta la funzione ovvero l'interesse pubblico cui è sottesa l'attività del Ministero, il quale può e deve intervenire in tutte le ipotesi in cui il bene ambiente (secondo alcuni sarebbe titolare di discrezionalità tecnica, secondo altri di discrezionalità mista sul punto) possa essere inciso dall'attività amministrativa sia con effetti favorevoli che sfavorevoli, nelle ipotesi in cui ritenga che l'interesse ambientale non sia stato adeguatamente valutato o perseguito. Ne discende che, anche in base all'adozione del decreto ministeriale n. 122 del 2015, il Ministero dell'Ambiente deve ritenersi legittimato e interessato ad agire. Occorre solo, a fini di completezza, precisare che l'eventuale dichiarazione di difetto di legittimazione ad agire del citato Ministero non sarebbe idonea a incidere sulla legittimazione e l'interesse del Ministero dello Sviluppo Economico, stante la scindibilità e l'autonomia delle relative posizioni.
3. Il ricorso proposto deve trovare accoglimento.
Occorre precisare che l'atto adottato dal sindaco del comune resistente si pone in contrasto e giunge a conclusioni differenti rispetto a quelle oggetto di una precedente valutazione di impatto ambientale svolta a livello nazionale - alla quale il comune stesso aveva partecipato presentando osservazioni - con la quale erano già precisate le prescrizioni da accompagnare all'utilizzo di airguns, motivandosi altresì sul basso impatto delle attività stesse sull'ecosistema.
Ne discende, anzitutto, che il Comune non è titolare del potere di paralizzare gli effetti di un precedente atto adottato a livello nazionale, mentre avrebbe potuto impugnare l'atto stesso ovvero adottare gli strumenti previsti dall'ordinamento giuridico avverso il medesimo atto.
Il provvedimento in questione appare inoltre viziato da carenza di potere nella parte in cui appare incidere su attività estrattiva svolta al di fuori dal territorio comunale, circostanza allegata da parte ricorrente e non contestata da parte resistente.
Con riferimento alla duplice natura dell'atto impugnato, occorre ancora precisare che, con riferimento agli artt. 216 e 217 rd 1265 del 1934 il provvedimento deve essere annullato per difetto di istruttoria e per violazione delle garanzie partecipative. In particolare, come da condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa, la qualificazione come industria insalubre richiede soltanto che l'attività sia riconducibile all'elenco del D.M. 5 settembre 1994. Peraltro, la mera riconducibilità all'elenco di un'attività non ne giustifica l'inibizione o la sottoposizione a limitazioni secondo la normativa in questione senza una istruttoria che consideri le concrete caratteristiche quali-quantitative della medesima e accerti se e in che misura effettivamente essa possa risultare pericolosa per la salute pubblica (verificando oltretutto se il pericolo possa essere eliminato o ridotto in misura congrua attraverso la previsione di particolari cautele). Nella fattispecie ciò non è stato fatto in modo adeguato, stanti i risultati cui si è differentemente pervenuti a livello nazionale.
Inoltre, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, con orientamento pienamente condivisibile, ha chiarito che i poteri inibitori vanno esercitati con l'ausilio dell'autorità sanitaria (Consiglio di Stato, Sez. V, 27-12-2013, n. 6264; è necessario che la presunta nocività sia accertata in concreto, vale a dire che il processo produttivo in esse destinato a svolgersi determini un inquinamento ambientale mediante fumi, polveri, umori, sostanze tossiche ed acque, come precisa Cons. St. sez. V 4.9.2013 n.440) e nel caso in esame il Sindaco si è pronunciato senza un parere della prescritta autorità tecnica, specie se si valutino le diverse conclusioni cui sono pervenuti i ministeri in un procedimento complesso al quale ha preso parte il comune stesso.
Allo stesso modo, con riferimento all'utilizzo dei poteri previsti dagli artt. 50 e 54 Tuel deve ritenersi difettare il requisito dell'urgenza, solo allegato da parte del Sindaco in contrasto con le diverse valutazioni compiute a livello nazionale, oltre che la stessa residualità dello strumento, posto che l'attività in oggetto è stata già valutata ed esaminata a livello nazionale, con la conseguenza che l'ordinanza adottata sarebbe sostanzialmente diretta a incidere sulla produzione di effetti di un provvedimento già adottato da altra pubblica amministrazione a livello nazionale.
In sostanza, l'adozione del provvedimento richiede adeguata istruttoria e motivazione in ordine alla sussistenza di un effettivo pericolo, circostanza nel caso di specie non adeguatamente dimostrata alla luce del diverso esito cui è pervenuta la pubblica amministrazione a livello nazionale.
Secondo la consolidata interpretazione del giudice amministrativo "L'adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l'urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile" (Cons. St., sez. III, sentenza n. 2697 del 29.5.2015).
Essa costituisce quindi il rimedio approntato dall'ordinamento per far fronte a situazioni di emergenza ed urgenza impreviste, ed è espressione di un potere extra ordinem, derogatorio e dal contenuto libero, salvo il rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico.
In tale prospettiva, è stata ad esempio ritenuta illegittima un'ordinanza non già diretta a fronteggiare un'emergenza, bensì ad imporre l'esecuzione di obblighi ulteriori rispetto a quelli derivanti dalle prescrizioni già dettate dall'Autorità competente (TAR Lecce, sez. I^, sentenza n. 1550 del 19.9.2012).
Le ordinanze extra ordinem non hanno carattere di fonti primarie, attesa la loro efficacia meramente derogatoria, e non innovativa, dell'ordinamento giuridico.
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 115 del 2011, ha ribadito che "deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se "temporalmente delimitate" (ex plurimis, sentenze n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n. 8 del 1956) e, comunque, nei limiti della "concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare" (sentenza n. 4 del 1977).
Nel dichiarare costituzionalmente illegittima l'originaria formulazione della disposizione introdotta dal d.l. n. 92/2008, ha poi rilevato che "la norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti - pur non attribuendo agli stessi il potere di derogare, in via ordinaria e temporalmente non definita, a norme primarie e secondarie vigenti - viola la riserva di legge relativa, di cui all'art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge".
La riforma di cui al d.l. 92/08 convertito in legge 125/08 ha esteso il potere sindacale di adottare ordinanze contingibili e urgenti, in precedenza circoscritto dall'art. 54 del TUEL all' "incolumità pubblica", anche alla "sicurezza urbana" definita dal decreto del Ministero dell'interno in data 5 agosto 2008 come "bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell'ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale" (art. 1).
La Corte Costituzionale, in sede di conflitto di attribuzioni, ha inteso tale definizione come da riferire esclusivamente alla tutela della sicurezza pubblica ed in funzione delle relative attività di prevenzione e repressione dei reati (Corte Costituzionale, 1° luglio 2009, n. 196).
Le ordinanze di cui all'art. 54 del TUEL sono a contenuto libero, in quanto finalizzate a fronteggiare accadimenti materiali, non previamente determinati, che mettano in pericolo la collettività, e risultano vincolate alla sola necessità di rispettare i principi generali dell'ordinamento giuridico.
Va infine ricordato che, nel vigore del codice del processo amministrativo, lo scrutinio delle ordinanze contingibili e urgenti è soggetto al solo sindacato di legittimità, in quanto esse non figurano tra le materie attribuite alla giurisdizione di merito dall'art. 134 del suddetto codice.
In precedenza, invece, come noto in virtù del combinato disposto dell'art. 7, l. Tar (l. 6 dicembre 1971 n. 1034); degli art. 27 e 29 n. 2 5 e 8, t.u. Cons. St. (r.d. 26 giugno 1924 n. 1054) e dell'art. 1 r.d. 26 giugno 1924 n. 1058) la giurisdizione del giudice amministrativo risultava estesa anche al merito di siffatte ordinanze, le quali quindi potevano essere sindacate con riguardo non solo a tutti i profili di legittimità, ma pure a quelli di convenienza, opportunità ed equità delle determinazioni adottate (Cons. St., sez. V, sentenza n. 220 del 19.2.1996).
Nel caso di specie, oltre alla mancanza di adeguata prova e istruttoria sulla sussistenza del pericolo, anche in relazione al principio di precauzione, l'ordinanza si pone in contrasto con il presupposto della residualità che deve caratterizzarla, dell'imprevedibilità del pericolo, posto che a livello nazionale il potere è stato già esercitato e sono già stati valutati i rischi derivanti dall'attività in oggetto, e della stessa contingenza dell'evento, costituendo l'autorizzazione dell'attività l'esito di un intervento programmatorio nazionale.
Ne discende che, anche secondo tale qualificazione giuridica, il provvedimento adottato deve essere annullato.
4. In considerazione delle peculiarità dei fatti oggetto di causa e della novità della questione di lite devono ritenersi sussistenti eccezionali motivi per compensare le spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla l'atto impugnato.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Giovanni Iannini, Consigliere
Raffaele Tuccillo, Referendario, Estensore

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