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Osservatorio. Dall’emergenza l’occasione per un agroalimentare più sostenibile

where Milano when Ven, 05/06/2020 who roberto

1.158 startup internazionali propongono nuovi modelli di business per la sostenibilità del settore, 2,3 sono i miliardi di dollari raccolti. In Italia c’è fermento imprenditorale, ma il mercato è ancora limitato

L’emergenza Covid19 ha creato collaborazionicibo_0.jpg fra imprese, Terzo Settore ed enti pubblici per garantire la distribuzione di aiuti alimentari e valorizzare le eccedenze offrendo l’occasione per ripensare l’intero sistema agroalimentare in una logica più sostenibile, grazie anche all’innovazione portata dalle startup agrifood che propongono nuovi modelli di business e nuove soluzioni sostenibili e circolari. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano”.
 
Dai dati emerge che sono ben 1.158 le startup internazionali dell’agroalimentare nate tra il 2015 e il 2019 che perseguono obiettivi di sostenibilità economica, sociale e ambientale attraverso soluzioni per contrastare la fame, stimolare la transizione a sistemi di produzione e consumo più responsabili, usare in modo più efficiente le risorse idriche e tutelare gli ecosistemi ambientali: circa il 39% in più di quelle rilevate lo scorso anno (835) e il 24% delle 4.909 startup agrifood complessive. Di queste, il 39% ha ricevuto almeno un finanziamento, per un totale di 2,3 miliardi di dollari raccolti, pari in media a 5,2 milioni di dollari a startup. I Paesi con la più alta concentrazione di startup agrifood sostenibili sono Svezia (20, di cui il 50% sostenibili), Olanda (49, di cui il 39% sostenibili) e Finlandia (27, di cui il 37% sostenibili). L’Italia, con 53 startup agrifood di cui solo 7 sostenibili (il 13%), presenta un mercato ancora limitato, che raccoglie appena 300mila dollari di finanziamenti, pari allo 0,01% del totale.

“L’emergenza Covid19 ha evidenziato quanto sia importante fornire agli attori della filiera gli strumenti e le conoscenze necessari per garantire la buona tenuta del settore, anche di fronte a forti criticità e trasformazioni sistemiche, che è anche la mission dell’Osservatorio Food Sustainability - afferma Alessandro Perego, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Responsabile Scientifico dell’Osservatorio -. Puntare su informazione e circolarità significa ottimizzare le risorse produttive, ridurre il più possibile gli sprechi lungo la filiera e utilizzare linguaggi e strumenti diversi, come le tecnologie e il packaging, per rendere la filiera più trasparente e i suoi operatori più partecipi e consapevoli - aggiunge Raffaella Cagliano, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio -. In un momento in cui c’è una forte necessità di ricostruire, a partire dalla fiducia degli operatori del settore e dei consumatori, l’informazione e la circolarità ricoprono un ruolo ancora più fondamentale e diventano gli elementi chiave per una maggior sostenibilità sociale, ambientale ed economica del nostro sistema agroalimentare”.
 
Le startup 
- Gli obiettivi di sostenibilità su cui si concentrano maggiormente le startup agrifood sostenibili sono l’impegno per migliorare accesso alle risorse produttive, sbocco sul mercato e reddito dei piccoli produttori (245 startup), l’aumento della produttività e della capacità di resilienza dei raccolti ai cambiamenti climatici (177 startup) e la riduzione di sprechi e eccedenze alimentari lungo la filiera (136). Seguono la gestione più efficiente delle risorse naturali utilizzate nei processi produttivi (128), le azioni per minimizzare l’impatto ambientale delle sostanze chimiche impiegate in agricoltura e dei rifiuti prodotti (96), garantire a tutti l’accesso al cibo (69 startup) e ottimizzare l’uso delle risorse idriche (64). Chiudono la classifica degli obiettivi di sostenibilità più perseguiti la conservazione, il ripristino e l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri e d’acqua dolce (56), la sensibilizzazione a stili di vita più sostenibili (23), la promozione di infrastrutture verdi (22) e il riciclo e il miglioramento della qualità dell’acqua (22).

Le 1.158 startup agrifood sostenibili censite dall’Osservatorio hanno raccolto complessivamente 2,3 miliardi di dollari, pari a un investimento medio di 5,2 milioni di dollari a startup. Il Nord America, trainato dagli USA, si conferma la prima area del mondo sia per investimenti complessivi, pari a 1,7 miliardi di dollari, sia per finanziamento medio, equivalente a 7,2 milioni di dollari. L’Europa è la seconda area per capitale totale raccolto, con 312 milioni, davanti all’Asia (308 milioni), ma le startup asiatiche raccolgono in media 4,2 milioni, contro i 2,7 delle europee. Crescono il fermento imprenditoriale e i finanziamenti anche in Oceania (33 milioni, con una media di 3,7 milioni a startup), Sud America (19 milioni, 1,3 milioni a startup) e Africa (17 milioni e media di 1,9 milioni a startup).
Quasi quattro startup sostenibili su dieci sono Service Provider che analizzano dati e monitorano le prestazioni attraverso dispositivi smart per ottimizzare le attività agricole e ridurre gli sprechi (456 startup, il 39% del totale); una su cinque si occupa di Food Processing e punta su ingredienti naturali e cibi proteici alternativi (231 startup, il 20%); il 15% (179 startup) è un Technology Supplier, che fornisce tecnologie per l’agricoltura di precisione e propone soluzioni per la coltivazione idroponica.

“Le startup puntano sempre di più a soluzioni innovative per spingere la transizione a sistemi di produzione più sostenibili e a modelli di consumo responsabili - commenta Paola Garrone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. A livello internazionale crescono i finanziamenti complessivi alle startup sostenibili, ma si registra un forte calo del capitale mediamente ricevuto dalle singole realtà (-17% negli USA). I principali promotori di innovazione sostenibile si confermano i fornitori di servizi, mentre conquistano terreno le giovani imprese che operano nello stadio della trasformazione alimentare, superando i fornitori di tecnologie, anche se la tecnologia resta un fattore chiave nello sviluppo di nuove soluzioni a supporto della filiera e di prodotti alimentari innovativi”.
 
I modelli di economia circolare per ridurre gli sprechi - L’Osservatorio ha analizzato un campione di 1.534 punti vendita, 28 centri di distribuzione (CeDi), 3.705 punti cottura con servizio ristoro (mense) e 80 punti cottura centralizzati (depositi e centri cottura), per indagare le pratiche maggiormente adottate per la prevenzione e la gestione delle eccedenze alimentari, i fattori abilitanti e le barriere che ne ostacolano l’adozione negli stadi della distribuzione e della ristorazione collettiva.
Nella distribuzione il 56% del campione misura le eccedenze in modo sistematico con una frequenza predefinita e sulla base di una suddivisione merceologica dei prodotti. A livello centrale le funzioni responsabili dei processi di prevenzione e gestione delle eccedenze sono Corporate Social Responsibility e Vendite, mentre nei singoli punti vendita queste attività sono affidate perlopiù al direttore del punto vendita (70%). Le pratiche di prevenzione più frequenti sono la formazione e la sensibilizzazione del personale sul tema degli sprechi alimentari (84% del campione, il 70% vuole continuare anche in futuro) e soluzioni di packaging per una migliore conservazione dei prodotti. Analizzando la gestione delle eccedenze, tutti i rispondenti donano le eccedenze a banchi alimentari o ad associazioni non-profit e oltre metà delle aziende che possono farlo per policy interne vendono prodotti vicini alla scadenza o con difetti di packaging in aree dedicate o con prezzi scontati all’interno dei punti vendita (56%).

L’impegno del top management è il fattore che più facilita l’adozione di queste pratiche nella distribuzione, seguito, secondo il 50% del campione, dalla pressione mediatica e degli stakeholder e dall’introduzione di incentivi fiscali e normativi. Le barriere che più ostacolano le pratiche di prevenzione sono la mancanza di risorse dedicate (70% del campione) e la scarsa preparazione del personale (42%), le pratiche di gestione sono frenate principalmente dall’incertezza di un ritorno economico, quelle di riciclo e recupero energetico dalla scarsa conoscenza delle soluzioni disponibili e dalle difficoltà di applicazione.
La metà delle aziende della ristorazione collettiva non misura le eccedenze in maniera sistematica, ma solo sporadicamente e per specifici progetti in corso. La Produzione interna è la funzione responsabile della prevenzione e gestione delle eccedenze alimentari, mentre la figura responsabile è il Direttore della mensa o il Capo cuoco o Manager di cucina. Alle azioni già attivate dalla distribuzione si aggiungono la programmazione flessibile della capacità produttiva, la scelta di menu attinenti alle preferenze dei consumatori, la previsione accurata del numero di pasti e la semplificazione delle materie prime. Il primo ostacolo alla prevenzione delle eccedenze è la scarsa collaborazione fra i diversi operatori della filiera (50%), mentre la gestione è frenata dalle difficoltà di implementazione e dall’incertezza normativa.

“All’interno degli stadi di distribuzione e di ristorazione collettiva è forte l’attenzione riposta dalle aziende sulla prevenzione e sulla gestione delle eccedenze - afferma Marco Melacini, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. Si sta andando verso una sistematizzazione della misurazione delle eccedenze generate, adottando tempistiche definite e una suddivisione merceologica. In generale, la priorità a livello di gestione viene data al recupero e alla ridistribuzione per il consumo umano, che resta una delle pratiche maggiormente adottate dalle imprese di questi stadi. Scendendo lungo la Food Waste Hierarchy, rimangono tuttavia alcuni ambiti ancora poco esplorati, soprattutto per quanto riguarda il riciclo e il recupero energetico delle eccedenze, che trovano un forte interesse da parte degli attori ma diverse difficoltà di implementazione”.

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