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Bioshopper, uno studio accusa: ritardano la crescita delle piante

where Roma when Mer, 29/05/2019 who roberto

Secondo uno studio dell'Università di Pisa, le buste in bioplastica provocherebbero "anomalie e ritardi nella crescita delle piante". Novamont non ci sta: “metodologia non valida”

Biodegradabili, ma non innocue per l'ambientebuste-plastica.jpg, tanto da causare anomalie e ritardi nella crescita delle piante, intaccando soprattutto le radici. È quanto emerge da uno studio sulle buste compostabili condotto da un team di biologi e chimici dell'Università di Pisa, pubblicato su “Ecological Indicators”.

La ricerca ha esaminato l'impatto sulla germinazione delle piante delle tradizionali shopper non-biodegradabili realizzate con polietilene ad alta densità (Hdpe) e di quelle di nuova generazione, biodegradabili e compostabili, realizzate con una miscela di polimeri a base di amido. Esaminando gli effetti fitotossici del lisciviato, la soluzione acquosa che si forma in seguito all'esposizione delle buste agli agenti atmosferici e alle precipitazioni, è emerso che entrambe le tipologie rilasciano in acqua sostanze chimiche fitotossiche che interferiscono nella germinazione dei semi.

"Nella maggior parte degli studi condotti finora sull'impatto della plastica sull'ambiente, gli effetti delle macro-plastiche sulle piante superiori sono stati ignorati - spiega Claudio Lardicci, docente all'Ateneo pisano -. La nostra ricerca ha invece dimostrato che la dispersione delle buste, sia non-biodegradabili che compostabili, nell'ambiente può rappresentare una seria minaccia, dato che anche una semplice pioggia può causare la dispersione di sostanze fitotossiche nel terreno. Da qui l'importanza di informare adeguatamente sulla necessità di smaltire correttamente questi materiali, considerato anche che la produzione di buste compostabili è destinata a crescere in futuro e di conseguenza anche il rischio di abbandonarle nell'ambiente". Il gruppo di lavoro che ha realizzato lo studio è composto da sei fra docenti, ricercatori e studenti dell'Università di Pisa. 

Replica Novamont - L'università di Pisa "continua ad inventarsi nuove metodologie per determinare l'effetto negativo dei sacchi compostabili nel caso in cui, invece di essere inviati a compostaggio come succede normalmente, finiscano in mare. La conclusione è che i sacchi compostabili, se dispersi in mare, causano effetti tossici su semi di crescione. La notizia crea clamore, perché si fa notare come le soluzioni alternative come quelle compostabili non rappresentano una via virtuosa verso la protezione ambientale, anzi. Peccato che le metodologie adottate per arrivare a queste conclusioni non siano validate. Sono esperimenti una tantum, di cui non è stata determinata la sensibilità, la riproducibilità, l'affidabilità e soprattutto non è dato il quadro di riferimento, necessario per interpretare i risultati. Manca all'appello un’informazione indispensabile per valutare il dato: qual è l'effetto delle sostanze di riferimento? Non lo sappiamo, perché non sono state usate sostanze di riferimento. È come la lancetta di un apparecchio di misurazione senza la scala, un tachimetro senza numeri.
Cosa succede se il sistema pisano viene applicato ad altre sostanze, ad altri tipi di materiale, a sacchi ed imballaggi di differente natura? Soprattutto, cosa succede se il sistema viene applicato a sostanze naturali, tipo foglie o altri tessuti vegetali? La risposta è "piatta" oppure c'è un segnale? Inoltre, è "normale" che otto sacchi si ritrovino tutti insieme in un litro d'acqua, oppure questa dose, usata dai ricercatori di Pisa è irrealistica, un po’ come cercare di dimostrare che l'aspirina uccide somministrando ad un paziente 100 compresse tutte insieme? Per ora non è dato saperlo e, in assenza di questa informazione, i risultati, pubblicizzati ai quattro venti, diventano fuorvianti, anche perché si incide su delle attività commerciali senza la sicurezza di avere a che fare con risultati riproducibili e sensati oppure di lavorare su artefatti metodologici".
 
Assobioplastiche - "Ci spiace - dichiara Marco Versari, presidente di Assobioplastiche - di dover continuamente replicare ad accuse pretestuose, frutto di metodologie quanto meno discutibili, di fronte alle quali ci vediamo ogni volta costretti a ribadire che le bioplastiche sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi, pensati per essere gestiti nel circuito del compostaggio industriale. Non sono la soluzione all'abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali. Ci chiediamo come mai analoghi studi non vengano effettuati su altri materiali, molto più diffusi, e quali obiettivi si intenda perseguire con iniziative di questo tipo".

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