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Il “potenziale” dell’economia circolare: 100 miliardi di euro annui al 2030

where Milano when Gio, 02/12/2021 who roberto

Secondo l’indagine condotta dall’E&S Group del Politecnico di Milano, solo il 44% delle imprese ha fatto propria questa prospettiva

Se venissero adottate praticheeconomia-circolare.jpg manageriali per l’economia circolare nell’industria italiana si genererebbero al 2030 circa 100 miliardi di euro annui, quasi il 4,5% del PIL nazionale al 2019, calcolando l’impatto di sei macrosettori chiave. Invece, meno di 1 impresa italiana su 2 ha fatto propria la sfida della circular economy, e ancora non è nemmeno a metà del percorso di trasformazione. Un dato positivo però c’è: per il primo anno, il 44% di aziende virtuose e pioniere supera chiaramente la percentuale degli scettici, che non hanno adottato questi criteri e non intendono farlo in futuro, fermi al 34%. A dirlo è il Circular Economy Report 2021 dell’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, giunto alla sua seconda edizione, che riporta i dati di una survey condotta su operatori di sei macrosettori rilevanti per l’economia italiana - costruzioni, automotive, impiantistica, food&beverage, elettronica di consumo, mobili e arredo.

 
Il potenziale dell’Economia Circolare in Italia
Ipotizzando di mantenere la stessa dimensione del mercato del 2019, è stato calcolato - attraverso l’analisi di report e studi di settore - che l’adozione di pratiche manageriali per l’economia circolare nei sei macrosettori presi in esame potrebbe, agendo sui costi, liberare al 2030 un potenziale economico di 98,9 miliardi di euro annui, in particolare 37 nelle costruzioni, 20,2 nel food&beverage e 18,2 nell’automotive. Rispetto all’adozione di ciascuna pratica manageriale, il contributo maggiore può derivare dal Take Back System (circa 24,7 miliardi di euro di risparmio), dal Design for Remanufacturing/Reuse e dal Design for Disassembly (circa 19,8 miliardi di euro ciascuno).

La diffusione dell’Economia Circolare in Italia: la survey
Il cuore del Rapporto sono i risultati dell’indagine sull’economia circolare in Italia relativa alle imprese di sei importanti macrosettori, con l’obiettivo di valutare lo stato di adozione delle pratiche manageriali circolari, i loro impatti, le principali iniziative implementate e ciò che le favorisce o le ostacola. In testa troviamo le costruzioni, con il 60% del campione che ha introdotto almeno una pratica di economia circolare, seguite da food&beverage (50%), automotive (43%), impiantistica (41%), elettronica di consumo (36%), mobili e arredo (23%): in media, il 44% degli intervistati, poco meno di 1 azienda su 2, mentre il 40% di chi non l’ha ancora fatto ha intenzione di porvi rimedio in futuro. In sostanza, gli irriducibili rappresentano il 34%, quindi molto meno del 44% degli adopters, che sono in genere imprese di dimensioni maggiori, sia per fatturato che per dipendenti, e partecipano (in misura di un terzo) a gruppi di lavoro, tavoli istituzionali, associazioni di categoria ed ecosistemi di simbiosi industriale che rinforzano le attività sull’economia circolare, dimostrando l’importanza del commitment dell’azienda. Se si chiede tuttavia alle imprese di valutare il livello raggiunto nella transizione verso l’economia circolare, il punteggio medio è pari a 2,02 su una scala da 1 a 5, dunque una fase ancora iniziale.

Le migliori pratiche
Tra le pratiche maggiormente adottate risultano Design for Environment (35% dei casi) e Design for Recycle (28%), poi Take Back System (27%) e Design for Remanufacturing/Reuse (22%), mentre le pratiche di Design for Disassembly, Design out waste e Product Service System non sono ancora molto diffuse: le aziende si stanno quindi concentrando sulle fasi di progettazione dei prodotti per ridurre l’impatto ambientale e riutilizzare i materiali all’interno dei propri sistemi produttivi. Solamente il 23% del campione partecipa a un ecosistema di simbiosi industriale (interazione tra diversi stabilimenti, anche appartenenti a filiere differenti, per massimizzare il riutilizzo di risorse normalmente considerate rifiuti) e ottiene benefici in termini di risparmio di materiali di scarto (83% dei casi) e di CO2 prodotta (50%). Il 29% effettua campagne di comunicazione o promozione delle proprie attività di circular economy e altrettante dicono pensarci per il futuro. 
 
Margini maggiori grazie all’economia circolare
Nel periodo 2016-2019, per gli adopters la crescita media del fatturato è stata del 6%, di poco inferiore a quella dei non adopters (7%); di contro, i primi hanno registrato una crescita media più mercata dell’EBITDA, 8% contro 5%: ciò dimostra che l’introduzione di pratiche manageriali per l’economia circolare, pur caratterizzate da alti costi di investimento, ha generato un beneficio anche economico per le imprese. Normalmente i vantaggi riconosciuti sono legati al tasso di innovazione, al rafforzamento dell’immagine del brand e alla riduzione dell’uso di risorse, mentre ancora non sono apprezzabili i benefici che derivano dalla riduzione dei costi di produzione. Al contrario, le barriere principali all’adozione sono rappresentate dall’incertezza normativa, dagli elevati investimenti e dalla relativa variabilità dei flussi di risorse (ridotta quantità di prodotti che ritornano all’impresa tramite Reverse Supply Chain), mentre le soluzioni tecnologiche sono ritenute adeguate, benché costose.

Il potenziale dell’Economia Circolare in Italia
Se si ipotizza di mantenere la stessa dimensione del mercato del 2019, si è calcolato - attraverso l’analisi di report e studi di settore - che l’adozione di pratiche manageriali per l’economia circolare nei sei macrosettori presi in esame potrebbe, agendo sui costi, liberare al 2030 un potenziale economico di 98,9 miliardi di euro annui, in particolare 37 nelle costruzioni, 20,2 nel food&beverage e 18,2 nell’automotive. Rispetto all’adozione di ciascuna pratica manageriale, il contributo maggiore può derivare dal Take Back System (circa 24,7 miliardi di euro di risparmio), dal Design for Remanufacturing/Reuse e dal Design for Disassembly (circa 19,8 miliardi di euro ciascuno).

“L’economia circolare è altra cosa rispetto allo sviluppo sostenibile e alla rispondenza ai criteri ESG, anche se spesso li si confonde - spiega Davide Chiaroni, direttore dell’Osservatorio sulla Circular Economy dell’E&S Group -. È un approccio che prevede la rigenerazione del capitale naturale, non la ‘semplice’ limitazione del danno ambientale: si minimizzano le risorse usate, ma senza diminuire la crescita economica e sociale, il progresso tecnico e l’innovazione. È una prospettiva complessa perché richiede un ripensamento dell’intero ecosistema di filiera, ma rappresenta una grande opportunità per realizzare nuovi investimenti, perché include una serie di comportamenti che limitano i rischi: di mercato, operativi, di business e legali. Per sintetizzare, non tutto ciò che è sostenibile è circolare, ma tutto ciò che è circolare ha un impatto positivo sulla sostenibilità”.

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