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La macchina dei danni ambientali. Chi non inquina non paga. Così è “assolta” la Colacem

where Venezia when Mer, 27/12/2023 who roberto

Importante decisione del Consiglio di Stato. Se non è responsabile di una contaminazione, il proprietario di un’area non è tenuto a prevenire il danno ambientale prodotto dagli altri. Il testo

Con la sentenza 10962 del colacem.jpg18 dicembre il Consiglio di Stato ha accolto l’appello promosso dal gruppo cementiero Colacem, assistito da Renna & Vivani con i partner Claudio Vivani ed Elisabetta Sordini, in relazione agli obblighi dei titolari delle aree collocate nei siti contaminati, chiarendo che il proprietario che non abbia causato la contaminazione (il “proprietario incolpevole”) non è tenuto a porre in essere le misure di messa in sicurezza d’emergenza del sito medesimo.
La vicenda nasce a Marghera, dove un insediamento della Colacem si trova sopra un terreno contaminato nei decenni scorsi da altre attività e ora messo in sicurezza.
La pronuncia del Consiglio di Stato deve la sua importanza al fatto che sancisce la rimeditazione dell’impostazione opposta. Finora un ampio orientamento della giurisprudenza amministrativa aveva sostenuto che la messa in sicurezza di emergenza è una misura finalizzata a prevenire il danno ambientale anche in relazione al suo possibile aggravamento, e quindi molti affermavano che è possibile imporre questi adempimenti anche al proprietario non responsabile del danno, anche se può dimostrare di non avere prodotto l’inquinamento, e quindi prescindendo dalla prova del contributo causale del soggetto obbligato.
La IV Sezione del Consiglio di Stato giunge alla conclusione opposta sulla base del principio “chi inquina paga”, secondo il quale l’obbligo di riparazione del danno ambientale incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo all'inquinamento o al rischio di inquinamento, e ancora solidamente la soluzione ai principi euro-unitari, fornendo così una chiara e preziosa indicazione tanto alle imprese quanto alle pubbliche amministrazioni.
Ecco il testo.
N. 04098/2018 REG.RIC.
N. _____/____REG.PROV.COLL.
N. 04098/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
 
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4098 del 2018, proposto dalla società Colacem s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Vivani, Elisabetta Sordini, Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo
studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n.44;
 
contro
 
il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il ministero della salute, il ministero dello sviluppo economico, il ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
la Regione Veneto, il Comune di Venezia, la Città metropolitana di Venezia, non costituitisi in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione terza),
N. 04098/2018 REG.RIC.
n. 993 del 2017.
 
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate; Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2023 il consigliere Silvia Martino;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO e DIRITTO
1. La società odierna appellante è operativa nel settore della produzione e commercializzazione dei leganti idraulici e principalmente del cemento. Nel 2003 ha acquistato dalla società Pagnan s.p.a. un’area situata nella zona industriale di Venezia -Porto Marghera, all’interno del sito di bonifica di interesse nazionale (SIN), per adibirla ad attività di carico - scarico dei leganti idraulici in vista della loro commercializzazione: detta area è risultata contaminata, ragione per cui il ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare le ha imposto di realizzare una serie di interventi di messa in sicurezza e bonifica del sito contaminato.
1.1. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e due successivi ricorsi per motivi aggiunti la società ha impugnato il verbale di Conferenza di servizi decisoria del 29 dicembre 2006, nonché le note del 7 marzo 2007 n. 3397 e n. 14320 del 1 giugno 2007, con cui il ministero le ha imposto l’adozione delle
suddette misure.
2. Con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa il T.a.r. ha accolto il ricorso in parte, annullando i provvedimenti impugnati nella parte in cui è stata imposta alla società Colacem la bonifica del sito.
3. La società ha impugnato tale pronuncia, nella parte in cui è rimasta soccombente. Deduce:
I. Errore in iudicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 242, 245, 240, comma 1, lettere i), m), n) o) e t), 253 e 304 del d.lgs. n. 152 del 2006. Il T.a.r. ha ritenuto legittima l’imposizione da parte della Conferenza di servizi a carico di Colacem dell’esecuzione delle misure di “messa in sicurezza”, aderendo ad un orientamento giurisprudenziale secondo cui tali attività, costituendo una misura di prevenzione dei danni, rientrerebbero fra gli obblighi gravanti sul proprietario, ancorché incolpevole, della contaminazione riscontrata.
Dal complesso di norme richiamate in rubrica si evince invece con chiarezza che il proprietario dell’area potenzialmente contaminata alla cui condotta non sia riconducibile l’inquinamento riscontrato è tenuto ad attuare solo le misure di prevenzione, intendendosi per tali quelle di cui all’art. 240, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 152/2006, da adottare entro ventiquattro ore dal momento in cui abbia rilevato il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC).
Conseguentemente, il medesimo non è obbligato a porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza, né quelle di messa in sicurezza operativa o permanente.
II. Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 242, 245, 240, 240, comma 1, lettere i), m), n) o) e t), 253 e 304 del d.lgs. n. 152 del 2006 e violazione del principio “chi inquina paga” sotto altro profilo.
Il T.a.r. ha ritenuto corretta l’imposizione a Colacem dell’attuazione di misure di messa in sicurezza affermando che le stesse costituirebbero una misura di prevenzione del danno e rientrerebbero nel genus delle precauzioni.
Tuttavia, il codice dell’ambiente distingue le misure di prevenzione da quelle di messa in sicurezza di emergenza.
Solo le prime possono essere poste a carico anche del proprietario incolpevole. Le misure di prevenzione si caratterizzano per la sussistenza di due elementi e segnatamente:
- la necessità che vi sia una minaccia imminente di un danno che non si sia ancora
verificato;
- il fatto che le misure da adottare debbano consistere in interventi realizzabili in situazioni di somma urgenza ed entro ventiquattro ore.
Deve quindi escludersi la necessità di “misure di prevenzione” - dovendosi invece fare ricorso alla “messa in sicurezza” - quando un danno si sia già verificato, come ad esempio, nel caso in cui la contaminazione o la sua migrazione siano fenomeni già in essere da tempo.
In queste ipotesi non si tratterà di “prevenire” ma di “limitare le conseguenze”, nelle more dell’attuazione di più incisive e definitive misure di ripristino. L’appellante ha quindi riproposto le censure di primo grado non esaminate dal T.a.r. concernenti sia l’illegittimità dell’imposizione nei confronti della stessa dell’attuazione delle misure di messa in sicurezza sia l’illegittimità dell’imposizione della presentazione del progetto di bonifica.
Queste ultime sono state riproposte solo in via meramente cautelativa, al fine di non incorrere in alcuna decadenza ai sensi dell’art. 101 c.p.a.
4. Si sono costituite, per resistere, le Amministrazioni statali intimate. 5. Le parti hanno depositato memorie conclusionali. La società appellante ha depositato anche una memoria di replica.
6. L’appello, infine, è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 19 ottobre 2023.
7. L’appello è fondato e deve essere accolto.
Al riguardo, si osserva quanto segue.
8. In primo luogo, è ormai inoppugnabile, in quanto non gravato da impugnazione incidentale, l’accertamento contenuto nella sentenza impugnata secondo cui “Nel caso di specie la P.A. non ha provato che la contaminazione presente nel sito di cui trattasi sia stata causata o aggravata da condotte dolose o colpose tenute da Colacem nell’esercizio della propria attività produttiva [...]”.
8.1. Va, altresì, evidenziato che, come documentato dalla società appellante,
analogo accertamento è contenuto nella sentenza della Corte di Appello di Venezia, Sezione civile IV, 3 gennaio 2017, n. 1 e nell’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione civile III, 30 maggio 2019, n. 30723.
Tali pronunce hanno definito il giudizio civile instaurato dal ministero dell’Ambiente al fine di ottenere la condanna di Colacem al risarcimento del danno ambientale per la contaminazione derivante dall’area di proprietà che la medesima avrebbe cagionato a seguito della mancata adozione di misure di messa in sicurezza tali da evitare la propagazione degli inquinanti e del mancato marginamento.
8.2. Inoltre, non è nemmeno contestato dall’Avvocatura dello Stato che le misure oggetto del presente contenzioso, al di là del nomen iuris alle stesse attribuito, non siano misure di prevenzione – così come definite dagli articoli 240, lett. i) del codice dell’ambiente - volte a scongiurare la minaccia di un evento di contaminazione che non si è ancora verificato, ma siano misure volte al barrieramento fisico e idraulico del sito e quindi a contenere la contaminazione storica degli acquiferi sotterranei, della quale non è stato comunque provato l’aggravamento.
8.3. Il T.a.r., per quanto concerne l’adozione degli interventi di messa in sicurezza imposti alla società odierna appellante nella sua qualità di proprietaria e/o detentrice dell’area, non responsabile dell’inquinamento, ha in effetti richiamato un orientamento di questa Sezione secondo cui “se è vero, per un verso, che l'Amministrazione non può imporre, ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno di inquinamento contestato, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento, secondo il principio cui si ispira anche la normativa comunitaria, la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, per altro verso la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell'azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni
all'ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l'accertamento del dolo o della colpa (Consiglio di Stato, sentenze nn. 1089/2017, 1509/2016, 3544/2015; artt. 242, comma 1, 244, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, Codice dell'ambiente)”.
In tal senso sono anche i precedenti richiamati dall’Avvocatura dello Stato (Cons. Stato, sez. IV, sentenze n. 1147 del 2 febbraio 2023, n. 3426 del 2 maggio 2022, n. 5863 del 12 luglio 2022).
In essi, è stata comunque sottolineata la distinzione che intercorre tra misure di messa in sicurezza di emergenza e misure di messa in sicurezza operativa e permanente, distinzione sulla quale il primo giudice non si è soffermato. 8.4. Ciò posto, il Collegio intende dare seguito all’orientamento più recente della Sezione, compendiato nella sentenza n. 6957 del 17 luglio 2023, nella quale è stata rimeditata l’impostazione secondo cui, essendo la messa in sicurezza di emergenza una misura connotata da esigenze di somma urgenza finalizzata a prevenire il danno ambientale anche in relazione al suo possibile aggravamento, sarebbe possibile imporla al proprietario non responsabile, e quindi prescindendo dalla prova del contributo causale del soggetto obbligato.
Infatti tale orientamento si pone in contrasto con i principi affermati dalla Corte di giustizia secondo cui, conformemente al principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell'inquinamento o al rischio di inquinamento (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, del 9 marzo 2010, in causa C-378/08 e la successiva decisione della stessa Corte, Sez. III, del 4 marzo 2015, causa C 534/13).
In questa direzione, anche l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ha chiarito che l’Amministrazione non può imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia l’autore dell'inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica, di cui all’art. 240, comma
1, lettere m) e p) del decreto legislativo n. 152/2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario “incolpevole” restano limitati a quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto legislativo in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari (Cons. Stato, Ad. plen., ordinanza, 25 settembre 2013, n. 21).
Nello specifico, secondo la richiamata pronuncia, dall’analisi delle disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 (articoli da 239 a 253) si evince che:
1) il proprietario, ai sensi dell’art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un
futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”; 2) gli interventi di riparazione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento (art. 244, comma 2);
3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati dall’Amministrazione competente (art. 244, comma 4);
4) le spese sostenute per effettuare tali interventi possono essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi tra l’altro l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo in rivalsa verso il proprietario, che risponde nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4);
5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).
8.5. La Corte di Giustizia (sollecitata dal Consiglio di Stato con la medesima pronuncia testé richiamata – par. 26 e ss.) si è espressa nel senso di reputare il richiamato quadro normativo conforme alla direttiva 2004/35/CE (sentenza 4 marzo 2015 – causa C-534/13).
Secondo la Corte le disposizioni che escludono l’obbligo del proprietario incolpevole di effettuare le misure di messa in sicurezza risultano in linea con la normativa europea ed in particolare con il principio “chi inquina paga” sancito dall’art. 191, par. 2, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, e con i principi di precauzione e dell’azione preventiva confermati dalla direttiva 2004/35/CE.
8.6. Nello stesso senso, infine, si è pronunciata di recente Cass. civ., Sez. un., 1 febbraio 2023, n. 3077 secondo cui: “L’Amministrazione non può imporre al proprietario di un'area inquinata, che non sia anche l'autore dell'inquinamento, l'obbligo di realizzare le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all'art. 240, comma 1, lett. m) e p), cod. amb., in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall'art. 253, in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare, tale essendo la netta distinzione tra la figura del responsabile dell'inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione; così che (…) il proprietario ‘non responsabilè dell'inquinamento è tenuto, ai sensi dell'art. 245, comma 2, ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i), ma non le misure di messa in sicurezza
d'emergenza e bonifica di cui alle lett. m) e p)”. In definitiva, anche le Sezioni unite della Cassazione hanno riconosciuto che le misure in esame possiedono “una connotazione ripristinatoria di un danno già prodottosi che le rende non assimilabili alle misure di prevenzione che, viceversa, il proprietario del sito è obbligato ad assumere in quanto idonee a contrastare un evento recante una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile”.
9. In definitiva, per le ragioni sin qui indicate, l’appello deve essere accolto. Tenuto conto dell’evoluzione giurisprudenziale nella materia di cui trattasi, sussistono i presupposti di legge per la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
 
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, n. 4098 del 2018, di cui in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie integralmente il ricorso e i motivi aggiunti articolati in primo grado, con il conseguente annullamento degli atti impugnati anche nella parte in cui è stata imposta all’odierna appellante l’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, presidente FF
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere, Estensore
Luca Monteferrante, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvia Martino Vincenzo Lopilato
IL SEGRETARIO

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