Che tempo che fa. Così il clima fa sparire le piste da sci sulle nostre montagne
In Lombardia sono stati abbandonati e in rovina già 23 skilift, altri 5 sono stati chiusi in attesa di tempo nevoso
Il cambiamento climatico sta avendo un forte impatto sulle destinazioni turistiche invernali a bassa e media quota. La durata del manto nevoso nell’anno si è accorciata e le temperature medie innalzate, con una prospettiva al 2050 di 3 gradi in più. Nella sola Lombardia sono stati abbandonati e in rovina già 23 skilift soprattutto sulle quote medie e basse, altri 5 sono stati chiusi in attesa di tempo nevoso. È quanto emerge dalla pubblicazione del dossier Nevediversa 2023 della Legambiente, un documento che illustra le condizioni di impianti da sci dismessi o abbandonati e analizza gli ingenti costi ambientali ed economici per sostentare il comparto sciistico con innevamento artificiale laddove gli effetti del cambiamento climatico sono tangibili nell’assenza di precipitazioni nevose.
Nell’inverno 2022-2023 l’aumento più elevato delle temperature medie è stato misurato nei comuni di Aprica e Teglio, entrambi in provincia di Sondrio: ben 3,9 gradi in più.
Il danno dei cannoni sparaneve
Questo quadro spinge le località sciistiche all’utilizzo dei cannoni sparaneve, con costi stimati per l’innevamento di un chilometro di pista che possono raggiungere anche i 45mila euro a stagione, consumi di energia e di acqua notevoli perché con un metro cubo d’acqua si producono circa due metri cubi di neve artificiale. L’innevamento artificiale ha un impatto anche sulla vegetazione: nei luoghi ad innevamento meccanico è stato riscontrato un ritardo dell’inizio dell’attività vegetativa fino a 20-25 giorni rispetto alla media, a causa della maggior permanenza al suolo delle lenti di neve artificiale, più compatta e pesante di quella naturale.
Focus sulla Lombardia
“In una regione che conta il 41% della superficie montuosa, i lombardi hanno riscoperto la montagna e gli sport alpini puntando su un turismo lento e rispettoso che, se valorizzato da politiche mirate, può diventare un fattore competitivo per il territorio, soprattutto alla luce della crisi che il comparto sciistico sta vivendo, promuovendo i paesaggi, le risorse culturali, naturalistiche, gastronomiche che rendono inimitabile ogni località alpina – sottolinea Lorenzo Baio, vicepresidente e responsabile settore acqua di Legambiente Lombardia –. Lo scenario di inverni sempre più secchi e l’innalzamento delle temperature rendono necessario ripensare il turismo invernale e valorizzare realtà che già da tempo promuovono alternative al costoso e impattante business dello sci da discesa, ponendo un freno all’uso smodato dell’innevamento artificiale e dei bacini e dicendo stop alla proliferazione di impianti all’interno delle aree protette e dei siti Natura 2000”.
Gli skilift abbandonati
La mancanza di neve, la contrazione della stagione invernale, i costi sempre più alti per il mantenimento e il rinnovamento delle infrastrutture e la conseguente difficoltà nell'ammortizzare gli investimenti hanno nel tempo causato la chiusura di molti comprensori sciistici, contribuendo ad accentuare il trend di spopolamento delle aree montane. In Lombardia sono 23 gli impianti che risultano dismessi, per assenza cronica di neve, fallimenti, crisi economica, fine “vita tecnica” delle strutture poi non rinnovate. Sono invece 5 quelli temporaneamente chiusi, ma dal futuro incerto.
Queste installazioni spesso lasciano sul territorio ruderi delle stazioni di partenza e arrivo, piloni abbandonati di cemento armato o acciaio, cavi non rimossi, come nel caso per esempio dello skilift sul Monte Poieto, nel Comune di Selvino Aviatico (Bergamo), dismesso addirittura negli anni ’60, la seggiovia sul Monte Arera nel Comune di Oltre il Colle Zambia Alta (Bergamo) chiuso dal 2003, lo skilift sul Monte San Primo nel Comune di Bellagio (Como) fermo dal 2013, la funivia sui Monti Greggio e Sighignola nel Comune di Alta Valle Intelvi (Como) dismesso dal 2007, lo skilift sul Monte Tesoro nel Comune di Carenno (Lecco), lo skilift sull’Alpe Paglio nel Comune di Casargo (Lecco), la teleferica in località Entova Scerscen nel Comune di Chiesa Valmalenco (Sondrio) ferma dagli anni ‘90, gli edifici del villaggio turistico Alpiaz di Montecampione (Brescia) e il complesso Le Baite Al Plan che versano in stato di degrado da oltre un decennio o l’ex Albergo degli sciatori a Moggio (Lecco), un “eco-mostro” costruito nel 1975 e dal 2019 in vendita.
E poi ci sono impianti sottoposti ad “accanimento terapeutico”, come il caso di Caspoggio (Sondrio) tra i 1100 e i 2000 metri di altitudine, chiuso dal 2013 per l’insostenibilità dei costi per l’innevamento artificiale a fronte degli esigui ricavi e a dicembre 2022 interessato dall’approvazione da parte di Regione Lombardia della proposta di valorizzazione della Ski Area Valmalenco, con 680mila euro proprio per la sostituzione dell’impianto a fune di Caspoggio Sant’Antonio.
Il rischio olimpico
Capitolo Olimpiadi Milano-Cortina 2026. A tre anni dall’evento rimangono ancora forti dubbi sulle collocazioni di molte delle strutture e aumenta il rischio che, per rispettare i tempi di realizzazione di tali impianti e infrastrutture, si porteranno avanti “procedure accelerate”, sacrificando così le necessarie valutazioni sugli impatti ambientali e sanitari. Inoltre, con il decreto-legge “Aiuti bis” il Governo Meloni ha stanziato ulteriori 400 milioni di euro rispetto alle spese già previste, segnale che conferma come da Giochi invernali low-cost come si era promesso si è passati a Giochi invernali sempre più costosi, che attingono da risorse pubbliche. “Si stima quindi il superamento della soglia dei 4 miliardi complessivi entro l’inizio della manifestazione, per la costruzione di opere dalla dubbia utilità per il rilancio di alcune località montane più piccole, lasciando un’eredità di cattedrali nel deserto” aggiunge Lorenzo Baio.
I casi virtuosi
Il dossier Nevediversa ha anche il compito di raccontare storie di riconversione e buone pratiche di un turismo soft e più sostenibile. Tra le iniziative segnalate spiccano lo smantellamento della seggiovia biposto Scanapà a Castione della Presolana (Bergamo) e i Piani di Artavaggio, Moggio (Lecco), dove nel 2007 l’amministrazione comunale acquistò la proprietà degli impianti abbandonati negli anni 2000 per mancanza di neve, riattivò la funivia, ma fece smantellare i vecchi impianti in quota. Da allora sono aumentati gli sciatori con le pelli di foca e i ciaspolatori in inverno, i camminatori e i mountain biker d’estate.
Su una proposta diversificata e resiliente di approccio all’ambiente montano lavora anche il progetto europeo Beyond Snow, cofinanziato dall’Unione Europea tramite il programma Interreg Alpine Space, di cui Legambiente Lombardia è uno dei partner territoriali. Il progetto mira a coinvolgere le comunità locali in un modello turistico alternativo, pronto ad affrontare le sfide legate ai cambiamenti climatici e capace di aiutare le località turistiche montane a superare la propria dipendenza dalla neve, che possa generare benessere economico e sociale e che sia anche rispettoso dell’ambiente e delle caratteristiche del delicato territorio montano.
È, però, fondamentale stimolare un cambiamento di stile del turismo invernale anche nei fruitori che provengono dalle città. Questo è l’obiettivo della campagna Nevediversa di Legambiente, che ogni anno organizza appuntamenti come ciaspolate, passeggiate e incontri per promuovere un turismo lento e sostenibile che, se valorizzato da politiche mirate, può diventare un fattore competitivo per il territorio.
Il dossier della Legambiente sulla Nevediversa: https://www.legambientelombardia.it/...