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Le miniere in fondo al mare. Francesca Santoro (Unesco): "Applicare il principio di precauzione"

where Kingston (Giamaica) when Lun, 30/10/2023 who roberto

Irlanda, Brasile, Canada, Finlandia e Portogallo si sono uniti ai Paesi che chiedono una moratoria contro l’estrazione mineraria in acque profonde

“Sappiamo ancora troppo poco francesca-santoro.jpgsugli impatti che potrebbe avere il Deep Sea Mining, specialmente nel lungo periodo. Per questo è fondamentale adottare il principio di precauzione, mentre la ricerca svolge studi più approfonditi. Sarebbe un segnale di grande importanza, soprattutto nell’ambito della United Nations Decade of Ocean Science for Sustainable Development (2021-2030)”. Così Francesca Santoro (nella foto), senior programme officer della Commissione Oceanografica Intergovernativa (Ioc) dell’Unesco, commentando i lavori della 28ª sessione – che si è svolta a Kingston in Giamaica (dal 10 al 21 luglio con il Consiglio, dal 24 al 28 luglio con l’Assemblea) - dell’International Seabed Authority (Isa), l’Autorità Internazionale delle Nazioni Unite che governa le attività estrattive minerarie in mare e che dovrà esprimersi in merito alle concessioni e alle licenze relative alle esplorazioni del fondale marino.

Il cosiddetto Deep Sea Mining (Dsm), ovvero l’estrazione di metalli e terre rare nelle profondità marine, ha impatti sull’oceano ancora poco noti e ancora non del tutto misurati e misurabili. Per far sì che i governi accelerino nel normare lo sfruttamento dei fondali marini, sempre più Paesi si stanno unendo alla campagna Look Down che, lanciata nel 2022, promuove una moratoria che normi lo sfruttamento dei fondali marini, almeno fin quando la ricerca non avrà dato risposte più chiare.
 
Una moratoria
Irlanda, Brasile, Canada, Finlandia e Portogallo si sono uniti ai Paesi che chiedono lo stop alle attività estrattive in mare, aggiungendosi così a Fiji, Palau, Samoa, Cile, Costa Rica, Ecuador, Fsm (Stati Federati di Micronesia), Spagna, Nuova Zelanda, Francia, Germania, Panama, Vanuatu, Repubblica Dominicana, Svizzera e Svezia. L’Italia fino ad oggi non si è espressa sul tema del Deep Sea Mining, ma prende parte alla riunione internazionale dell’Isa.
La domanda per minerali come nickel, cobalto, rame e manganese sta infatti aumentando in maniera consistente in tutto il mondo. L'estrazione dal fondo marino di questi minerali, fondamentali per la transizione ecologica, viene considerata come un nuovo mezzo per ottenerli, ma prima di farlo è essenziale comprendere appieno l'impatto ambientale di questa attività estrattiva dal profondo dell'oceano e confrontarlo con l'impatto ambientale dello stesso tipo di attività sulle terre emerse.
 
Il mondo della ricerca
La ricerca sull'impatto di queste attività sull'ambiente marino è ancora all'inizio, ma è noto che uno degli effetti principali sarà relativo allo sviluppo di nubi di sedimenti che contribuiscono ad aumentare la torbidità della colonna d'acqua e alla modifica degli ecosistemi marini, in particolare creando un impatto negativo sugli organismi pelagici, ovvero quegli organismi che nuotano e si muovono nella colonna d'acqua seguendo le correnti. Recentemente sono state scoperte dagli scienziati più di 5.000 nuove specie che vivono sul fondo del mare in un'area incontaminata del Pacifico equatoriale centrale (la Clarion-Clipperton Zone), che è stata identificata come zona interessante per l'estrazione mineraria, operazione che metterebbe la biodiversità a rischio.
È dunque necessario continuare a mappare i fondali marini (sea floor), e parallelamente coinvolgere e sensibilizzare, ed educare sul tema tutti gli stakeholder, incluso il settore privato. Ad oggi, l’Isa ha realizzato una mappatura per indicare la presenza dei giacimenti minerari subacquei finora identificati; per l’area Mediterranea non sono al momento presenti mappe che permettano di individuare dei giacimenti consistenti.
 
Mappare i fondali
“Questo non vuol dire che non ci siano, ma la questione è collegata ad uno dei problemi più grandi dell'oceano, ovvero la mancanza di una mappatura completa. Secondo i dati delle Nazioni Unite, ad oggi solo il 25% dei fondali oceanici è stato mappato. Anche per questo - conclude Francesca Santoro - l’obiettivo dell’Unesco, nell’ambito del Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile (2021-2030) delle Nazioni Unite, è quello di mappare almeno l’80% dei fondali marini entro il 2030 così da poter individuare e proteggere quante più aree possibili”. Tra i progetti in corso c’è ad esempio il Seabed 2030, che intende creare una mappa condivisa dell’intero oceano. In questo contesto è di grande importanza anche l’approvazione dell’High Sea Treaty dell’ONU (Accordo per la Tutela dell’Alto Mare) che si propone di inserire entro il 2030 il 30% dei mari in aree protette, per salvaguardare e recuperare la natura marina, e in ogni caso prevede un'attenta valutazione di impatto ambientale prima che vengano rilasciate nuove concessioni per l'estrazione di minerali dal fondale.
 
La Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco
La Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco (Ioc/Unesco), è stata istituita nel 1960 come ente dell’Unesco con autonomia funzionale, è l’unica organizzazione competente per le scienze del mare nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite. Lo scopo principale della Commissione è quello di promuovere la cooperazione internazionale e di coordinare programmi di ricerca, di creazione di servizi oceanografici e di sviluppo di capacità, al fine di comprendere maggiormente la natura e le risorse dell’oceano e delle zone costiere, per applicare questa conoscenza per il miglioramento della gestione, dello sviluppo sostenibile, della tutela dell’ambiente marino e dei processi decisionali dei suoi Stati Membri. Inoltre, la COI-Unesco è riconosciuta attraverso la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) come l’organizzazione internazionale competente negli ambiti della ricerca scientifica marina (Parte III) e del trasferimento delle tecnologie marine (Parte XIV).

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