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Energivori. Allarme del settore: siamo a rischio chiusura, il Governo vari misure immediate

where Brescia when Lun, 10/01/2022 who roberto

Bollette impazzite, gli imprenditori alle istituzioni chiedono di valorizzare la risorsa del gas nazionale e il rinvio del capacity market

Allarme rosso dei settori manifatturieri energivori.jpgitaliani che si trovano oggi a fronteggiare un drammatico aumento dei costi energetici, che sta mettendo a rischio la sopravvivenza di molte imprese. Il prezzo dell’energia elettrica continua a registrare valori record: nelle prime due settimane di dicembre ha raggiunto il picco storico di 374 €/MWh (+280% rispetto al valore di gennaio 2021; +650% rispetto a gennaio 2020). Anche le quotazioni del gas naturale stanno registrando degli andamenti di crescita esponenziale: il prezzo della commodity in Italia è cresciuto di oltre il 671% da novembre 2020 a novembre 2021, e le quotazioni al principale hub europeo hanno superato negli ultimi giorni i 180 €/MWh. Per la manifattura italiana, questa situazione comporta un drastico incremento dei costi per la fornitura di energia, che impatta principalmente sui settori ad alta intensità energetica: le industrie dell’acciaio, della carta, del cemento, della ceramica, della chimica, delle fonderie e del vetro e della calce sono nella concreta impossibilità di proseguire con le attività produttive. Una situazione paradossale, considerando che gli ordinativi sono ai massimi degli ultimi anni e ben oltre i livelli immediatamente pre-pandemia. A questo si aggiunge il fatto che i margini sono erosi completamente da costi che non possono essere trasferiti a valle sui clienti.

Gli interventi richiesti
Numerosi sono gli interventi richiesti per mitigare gli effetti devastanti del costo impazzito del gas naturale sui mercati mondiali. Tra questi, occorre valorizzare la risorsa del gas nazionale, sia come risposta congiunturale mediante una procedura di gas release per il periodo invernale, sia creando un meccanismo temporaneo che allochi quote del gas estratto in Italia in sostituzione di gas importato alle imprese a ciclo termico, impegnate nella decarbonizzazione dei loro processi. Sul fronte dell’energia elettrica, le aziende chiedono che sia rinviato il capacity market (un nuovo onere che dal 1° gennaio 2022 porterà un aggravio pari a 39,799 €/MWh nelle 500 ore di picco, quelle in cui il sistema ha la maggiore congestione di consumo, e pari a 1,296 €/MWh nelle altre ore). Con uno sguardo di medio periodo, serve riformare il mercato elettrico nazionale: i costi energetici crescono e impoveriscono imprese, mentre i produttori e i grandi venditori di energia continuano a fare profitti al di sopra di qualsiasi logica di mercato. In materia di ETS servono correttivi, anche temporanei, per limitare la possibilità di spinte speculative causate da investitori non industriali. Va infine sbloccata la compensazione dei costi indiretti, che in Italia sembra essersi arenata.

Industria e politica
Le industrie energivore hanno lanciato il loro grido d’allarme ed elencate le loro richieste in occasione di una conferenza stampa alla quale erano presenti Fabio Zanardi ed Enrico Frigerio (rispettivamente presidente e vicepresidente di Assofond), Roberto Vavassori (vicepresidente di Anfia), Michele Bianchi (comitato presidenza di Assocarta) e Franco Gussalli Beretta (presidente di Confindustria Brescia), cui si sono aggiunti in collegamento Giovanni Savorani (presidente di Confindustria Ceramica), Roberto Pierucci (comitato presidenza di Assovetro) e Davide Garofalo (consigliere di Assomet). Il mondo della politica e delle istituzioni ha visto invece la presenza del senatore Matteo Salvini e degli assessori allo Sviluppo Economico di Regione Lombardia, Guido Guidesi e della Regione Emilia-Romagna Vincenzo Colla, quest’ultimo in collegamento.  

I numeri
Le imprese dei settori energivori hanno un ruolo chiave nel tessuto industriale italiano: generano 88 miliardi l’anno di valore aggiunto, con una forte vocazione all’export che vale circa il 55% del loro fatturato, e sostengono 350.000 posti di lavoro diretti, numero che raddoppia a 700.000 persone calcolando anche l’indotto. La prospettiva per queste imprese è di non riuscire più a garantire ai clienti semilavorati e prodotti e aprire per un gran numero di lavoratori la prospettiva della cassa integrazione. Un rischio ulteriore è che rallenti e fermi l’economia circolare: molti dei settori energy intensive sono, infatti, anche riciclatori di rifiuti e di materie prime secondarie.

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