Acqua. In 50 anni il cemento ha consumato i letti dei fiumi per un’area grande come 300mila campi di calcio
Un report del WWF fotografa il degrado e mostra soluzioni già adottate in aree urbane che partono dalla natura per costruire una nuova strategia
Il cemento e gli sbarramenti lungo in fiumi, adottati finora come finta soluzione di sicurezza al pericolo alluvioni, sono dei veri e propri moltiplicatori del rischio: negli ultimi 50 anni negli ambiti fluviali, attraverso le varie forme di urbanizzazione, si è consumato suolo per circa 2.000 km quadrati, qualcosa come circa 310.000 campi da calcio. Lo si apprende dal dossier “Un futuro per i nostri fiumi” che verrà presentato questa settimana dal WWF: il documento sarà la base di riflessione per costruire una strategia che possa mettere in sicurezza i corsi d'acqua italiani, messi a dura prova dagli effetti dei cambiamenti climatici estremi soprattutto nelle città, partendo dalla “natura”.
Lo stato di salute - I numeri sullo stato di salute dei fiumi, tra gli ecosistemi di acqua dolce i più minacciati sul pianeta, amplificano la drammaticità della situazione: il 60% delle acque europee non versa in buono "stato di salute" e in Italia non si sta meglio, visto che solo il 43% dei fiumi è in un "buono stato ecologico", come richiesto nella Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE), mentre i laghi sono solo al 20%. Fiumi gran parte "canalizzati", sbarrati da dighe e altri ostacoli che ne hanno interrotto la continuità, sbancati dei loro boschi ripariali, dragati nei loro alvei. Il prelievo d'acqua per le irrigazioni è avvenuto in modo insostenibile, eccessivo e con scarichi inquinati; molti centri abitati non hanno ancora sistemi di depurazione e fognari adeguati e, per tutto ciò, la commissione Europea ha avviato diverse procedure d'infrazione.
I fiumi sono una cartina tornasole della “piaga” del nostro territorio, il consumo di suolo: la mancanza di un'efficace pianificazione strategica ha consentito ai quasi 8000 comuni italiani di svilupparsi spesso in modo autonomo, rispetto al contesto territoriale a cui appartengono, e in modo scoordinato tra loro, esponendo i propri cittadini a una serie di rischi assolutamente non trascurabili. Solo in Liguria quasi un quarto del suolo (23,8%) costruito entro la fascia di 150 metri dagli alvei fluviali, è stato occupato tra il 2012 e il 2015. Si è costruito non solo a ridosso, ma dentro gli alvei. Secondo l'ISPRA solo nei tre anni prima del 2016 le regioni hanno continuato drammaticamente a consumare il suolo nelle aree di espansione dei fiumi, portando cemento e infrastrutture dentro la fascia dei 150 metri: il Trentino Alto Adige ha incrementato del 12% il consumo nelle fasce fluviali, il Piemonte del 9%, l'Emilia Romagna con dell'8,2%, la Lombardia dell'8% o la Toscana del 7,2% (ISPRA, 2016). Considerando l'assetto demografico dei territori che ricadono in fasce soggette alla pericolosità delle alluvioni (categoria media ed elevata ), possiamo dire che vi sono oltre 7,7 milioni di italiani a rischio alluvioni.
Ripartire dalla natura come soluzione - Per cercare di contenere ed invertire questo trend sarà necessaria un'articolata, lunga e complessa azione che tenga conto della gigantesca dimensione sociale coinvolta; un'azione difficile ma indispensabile in quanto altrimenti, secondo la stima corrente, si potrebbe raddoppiare in soli 10 anni l'odierna densità dell'urbanizzato "disperso", con effetti ancora più irreversibili.
Qualcosa si sta muovendo: il dossier WWF offre molte soluzioni basate sulla natura ("nature based solution") per recuperare le funzioni ecologiche del territorio partendo da alcuni casi di città europee che potrebbero essere riproposte nelle nostre città. Si tratta di casi di "sistemi di drenaggio urbano sostenibile" (Ruscello di Gohard, Nantes, Fiume Sprea, Berlino), "riqualificazione fluviale in città" (Fiume Marden, Calne, Fiume Isar, Monaco, Fiume Ravensbourne, Londra, Rio Mareta, Vipiteno, Fiume Great Ouse, Milton Keynes, Fiume Vidå, Tønder, torrente Lura in provincia di Como, Fiume Mayesbrook , Fiume Gallego, Zuera, il progetto europeo horizon2020: "clever cities".
La rinaturazione è indispensabile per favorire il sempre più urgente adattamento ai cambiamenti climatici, ma è anche conveniente: da alcuni studi, ad esempio, sull'industria della rinaturazione (restoration ecology) si evidenzia che gli effetti occupazionali totali vanno da 10,4 a 39,7 posti di lavoro per 1 milione di dollari investiti, mentre con l'industria petrolifera e del gas ne supporta circa 5,3 posti per 1 milione di dollari investiti.