Greenpeace: un porto carboniero minaccia la grande barriera corallina
Il monumento naturale australiano è malato e il piano di ricupero pare inadeguato
A pochi giorni dalla diffusione del Reef 2050 Plan - il piano di protezione della Grande Barriera Corallina stilato congiuntamente da governo australiano e governo dello stato di Queensland - Greenpeace descrive quali sono i pericoli che corre una delle più affascinanti e importanti, ma al contempo minacciate, aree del Pianeta.
Secondo l’associazione, "la somma tra fenomeni di origine naturale e attività umane - come le estrazioni minerarie, l'agricoltura, le attività portuali, i trasporti, il turismo, la pesca, la crescita urbana e lo sviluppo industriale - ha portato negli ultimi ventisette anni alla scomparsa di oltre il 50 per cento della copertura di coralli e al deterioramento di 24 dei 41 indicatori di qualità relativi allo stato di salute della barriera”.
La minaccia più immediata per la Grande Barriera Corallina proviene dal progetto di espansione del porto carbonifero di Abbot Point, piano avvallato dal governo australiano e che prevedrebbe l'aggiunta di un nuovo terminale a quello già esistente. “Questo comporterebbe il raddoppio della capacità di carico, attualmente di 50 milioni di tonnellate di carbone all'anno. Le emissioni di CO2 che deriverebbero dalla combustione di tali quantitativi di carbone sarebbero equivalenti a quelle della Corea del Sud, settimo Paese al mondo per emissioni di gas serra”.
Proprio i cambiamenti climatici per Greenpeace sono già oggi il peggior nemico della Grande Barriera. Uragani e tempeste sempre più devastanti, sbiancamento dei coralli e acidificazione degli oceani sono processi causati dal riscaldamento globale che potrebbero distruggere la restante parte dei coralli ancora in salute.