Gli investimenti scappano fuori Europa: ma perché?
Nel nostro Paese incide fortemente l’instabilità burocratica che non garantisce le previsioni una prevedibilità per gli investitori e non sono ammesse in genere modifiche migliorative agli impianti incentivati, che andrebbero a favore dell’efficienza
di Micaela Ancora - FIRE*
Secondo l’IREX Annual Report 2016, l’Italia delle energie rinnovabili sta crescendo e in alcuni campi il mercato è in fase di consolidamento, registrando una prevalenza di eolico, una lieve discesa del fotovoltaico, una crescita degli interventi di efficienza energetica. Non decolla il biometano e rallenta la produzione di biogas, trascinando con sé anche le biomasse. Meno di 10 anni fa il parco generazione era di 3 mila impianti, ora siamo a 700 mila.
Il quadro che ne esce è tutto sommato positivo: l'industria delle FER cresce. In tale contesto da un po’ di anni matura e si consolida anche la tendenza delle aziende del settore, soprattutto quelle che puntano sulla ricerca di innovazione tecnologica, a cercare opportunità oltre i confini nazionali. Il dato interessante è che non si punta sui territori europei (fatta eccezione per la Gran Bretagna), ma fuori confine in America Latina, Giappone, Africa. Sempre secondo il rapporto IREX, nel 2015 due terzi dei 2.402 MW dei nuovi progetti sono stati realizzati all'estero. Ma perché?
Le variabili alla base di questo fenomeno sono diverse: la prima è legata alla stabilità dei contratti stipulati a lungo termine, che sono vincolanti per un determinato lasso di tempo per entrambe le parti e difficilmente scindibili o modificabili. Ciò garantisce un’attività produttiva senza “scosse” per 10 o 15 anni, periodo in cui si può pensare di innovare in quel sito, di aumentare la produttività o fare altro. In Italia ciò non è assicurato, l’instabilità burocratica non garantisce una prevedibilità e non sono ammesse in genere modifiche migliorative agli impianti incentivati (che andrebbero a favore dell’efficienza); d’altra parte è ben noto che nel nostro Paese è sufficiente un cambio di governo per far cambiare obiettivi, visione e dunque il quadro regolatorio. Lo “spalma incentivi” fotovoltaico ha in sostanza dato il colpo di grazia alla credibilità residua (la constatazione che molti impianti fossero stati sovra incentivati non è una giustificazione: si rimedia a un errore con un altro errore). Il tutto aggravato a scelte regionali spesso molto differenziate, per quanto di loro pertinenza.
La variabilità fa dunque scappare gli investitori in luoghi dove trovano velocità nella realizzazione delle attività e degli interventi. Questo vale per la realizzazione d’impianti di generazione, ma ancora di più per chi è interessato a investire in processi produttivi o prodotti innovativi. Per un’azienda proporre un intervento e realizzarlo in due o tre mesi è essenziale soprattutto in casi in cui si prevede l’installazione di una nuova tecnologia: se a causa della burocrazia si hanno le autorizzazioni dopo anni è ovvio che chi investe scelga altre destinazioni, dove le iniziative, le situazioni e le tecnologie non diventano obsolete.
Altro deficit italiano è la mancanza di contatto col territorio: niente rapporti diretti tra chi intende aprire un sito produttivo ed il Comune dove si vuole intervenire, spesso caratterizzato da una scarsa pianificazione del territorio. Lo sviluppo di servizi territoriali in linea con la direttiva sull’efficienza energetica (recupero di calore e reti di teleriscaldamento/teleraffrescamento) e con le logiche dell’economia circolare favorirebbe le scelte degli imprenditori. Troppe sono le incertezze sui tempi e sulle regole del breve-medio periodo.
Insomma in un momento storico in cui molti Paesi puntano all’innovazione in un’ottica green, da noi ci si limita a proclami e ci si batte debolmente per distaccarsi dal petrolio e dal gas (il caso del referendum sulle trivelle è emblematico), nonostante siamo un Paese che ha in abbondanza sue sole risorse: efficienza energetica e fonti rinnovabili. L’accordo della COP 21 a Parigi è stato appoggiato e firmato anche dall’Italia, ci lamentiamo della dipendenza energetica e poi si registra la solita resistenza di processo verso il nuovo, tipica del nostro Paese. Perché ci si lamenta dello scarso apporto di capitali esteri e poi si fa di tutto per tenerli lontani e promuovere questa fuga di investimenti nostrani? Tra l’altro il cambio di regole rischia di costarci caro per cause legali intentate all’Italia per violazione degli accordi internazionali.
Aldilà degli accordi internazionali e delle critiche, se si vuole arrivare in Italia ad un ampliamento della generazione da rinnovabili e ad un incremento degli interventi di efficienza energetica allora è necessario mostrare una visione chiara di medio-lungo periodo, scrivere leggi chiare e integrate, semplificare ed orientare le norme in tal senso, favorire una pianificazione territoriale moderna e sostenibile a partire da dialogo con le regioni. In caso contrario… au revoir! Le aziende vanno all’estero.
*Federazione italiana per l’uso razionale dell’energia